Israele tra Passato, Presente e Futuro
Introduzione: Chi è Israele?
Chi è Israele? Si potrebbe pensare che un apostolato che porta il nome di "Cattolici per Israele" avrebbe dovuto rispondere a questa domanda già da tempo. Quando Cattolici per Israele venne fondato nell’estate del 2007, due dei primi articoli che abbiamo pubblicato furono Perché Cattolici per Israele? e Che cosa intendiamo con Cattolici per Israele? Il primo articolo spiegava brevemente le ragioni bibliche, teologiche e storiche della nostra opera, mentre il secondo prendeva la dichiarazione Nostra Aetate come punto di partenza per mostrare come il nostro apostolato sia fondato nella visione della Chiesa riguardo al popolo ebraico, visione esposta al Concilio Vaticano II. In questo secondo articolo abbiamo riassunto quello che Nostra Aetate proclamava chiaramente riguardo agli ebrei, procedendo poi ad elencare alcune questioni ancora inconcluse, che il documento aveva lasciato senza risposta, come il ruolo di Israele nel disegno della salvezza di Dio dopo la venuta del Messia, la chiamata missionaria della Chiesa verso il popolo ebraico, la speciale vocazione degli ebrei cattolici e la loro relazione con la Torah, e il significato del ritorno degli ebrei nella terra di Israele oggi.
Per affrontare questi punti (specialmente il primo e il quarto) è necessario prima di tutto cercare di rispondere alla domanda fondamentale: chi è Israele? Perché solo se rispondiamo a questa primaria domanda sull’identità di Israele siamo in grado di poter cominciare a rispondere alle domande secondarie, che riguardano la missione e la chiamata di Israele. Un’altra buona ragione di mettere in atto questo studio è l’importanza che costituisce Israele nell’ambito della storia della salvezza: con il nome di Israele che appare quasi 2800 volte nella bibbia, la questione "chi è Israele" – il popolo al centro della rivelazione biblica – dovrebbe veramente preoccupare ogni cattolico e ogni cristiano che prende sul serio la sua fede.
Nei mesi passati, le nostre pubblicazioni più recenti, e alcune loro risposte, hanno fatto sorgere la necessità di esaminare più approfonditamente questa questione. In luglio ho pubblicato Elefanti nella Stanza: Le Radici Nasconste della Crisi della Chiesa in Terra Santa, dove ho fatto notare che le forti correnti del neo-marcionismo, della Teologia della Sostituzione, dell’antisemitismo, dell’antisionismo e della Teologia della Liberazione della Palestina (tra le altre cose) stanno avendo un effetto devastante sulla missione e sulla testimonianza della Chiesa in Terra Santa. Poi, in agosto, ho pubblicato l’articolo Rivelazione Divina e Terra di Israele, nel quale ho evidenziato alcune profezie bibliche che indicano il ritorno del popolo ebraico nel paese di Israele, constatando il fatto che molto cattolici sembrano essere assorti da preoccupazioni secolari, umanistiche e socio-politiche piuttosto che dalla visone biblica dell’alleanza delle Scritture nel loro approccio con il conflitto del Medio Oriente.
Ho avuto il privilegio di ricevere in risposta a questi due articoli un commentario ed una riflessione piuttosto estese da P. Carlo Colonna sj, che vive a Bari. Come noi, anch’egli è affascinato dal mistero di Israele e dalla relazione tra Israele e la Chiesa. P. Carlo ha scritto un libro sul giudaismo messianico e ha già contribuito alla nostra opera con il suo articolo Il difficile cammino verso l’unità tra ebrei e cristiani e la sua Preghiera per la salvezza d'Israele.
La risposta di P. Carlo a "Elefanti nella Stanza" è intitolata Sulle Diverse Realtà che ci sono dietro il nome di "Israele". Ho trovato questa riflessione affascinante e impegnativa. Da una parte, esaminando dettagliatamente i differenti significati comunemente attribuiti al nome di "Israele", egli ha proposto alcune distinzioni e chiarificazioni molto utili, che vorrei usare come punto di partenza per la presente riflessione. Dall’altra, anch’io vorrei proporgli una riflessione su un certo numero di punti che ha sollevato. L’idea, ovviamente, è di non entrare in nessun tipo di dibattito polemico ma piuttosto, come egli ha menzionato alla fine del suo articolo, di essere uniti negli "intenti per comprendere e collaborare all’opera di Dio ai nostri giorni ". Chiediamo quindi allo Spirito Santo di guidarci e mostrarci la via, mentre cerchiamo di comprendere meglio il mistero di Israele, che allo stesso tempo è una ricerca nel mistero della Chiesa (NA 4).
La Posizione di P. Carlo Colonna
Comincerò con l’elencare brevemente i punti essenziali della riflessione di P. Carlo. Egli comincia facendo notare tre novità riguardanti la Chiesa oggi:
- Primo, il fatto che lo Spirito Santo stia chiamando i cristiani gentili a riscoprire le radici ebraiche della loro fede;
- Secondo, la nascita del moderno Stato di Israele;
- Terzo, il recente sorgere e crescita del Movimento Ebraico Messianico.
Poi egli identifica ciò che crede essere due interpretazioni ideologiche di Israele errate:
- La prima è l’"ideologia umana", che "considera Israele solo da un punto di vista politico" e rifiuta totalmente "ogni considerazione di Israele dal punto di vista religioso".
- Il secondo è ciò che P. Carlo chiama "ideologia divina" che, secondo lui, afferma che:
Israele, nonostante il rifiuto di Gesù Messia, è la depositaria di promesse divine, sempre attuali. Per cui su Israele risplende sempre la benedizione di Dio, che in questi ultimi tempi si è manifestata nel ritorno di Israele come nazione nella sua Terra, data da Dio ai padri. Alla luce di questa teologia della benedizione divina su Israele mai revocata, la non accoglienza del Messia, protratta ancora dopo 2000 anni, sarebbe un piccolo peccato veniale, che non fa troppo danno ad Israele, perché è coperto dalla benedizione divina della elezione. Il messaggio di questa ideologia divina riguardante Israele è che se i popoli pagani vogliono essere benedetti da Dio nell’ora attuale, devono a loro volta benedire Israele e favorire in ogni modo il suo permanere in terra santa. Questo indipendentemente se Israele accoglie il Messia o no. (enfasi aggiunta).
Secondo l’opinione di P. Carlo, questa posizione sfocia in una "idolatria di Israele" molto problematica, che è tipicamente portata avanti da un "Evangelismo-Messianico fondamentalista, fortemente anticattolico".
P. Carlo poi passa ad un "breve excursus biblico per comprendere il vero significato della benedizione "per" e "da" Israele". Facendo corrispondere il termine "benedizione" all’espressione "salvezza, vita e pace", egli spiega che questa benedizione, prima promessa ad Abramo, poi manifestata nella Divina Presenza dimorante nel Tempio di Gerusalemme, fu adempiuta, alla fine, nella persona di Gesù Messia. Il rifiuto di Israele del Messia li privò temporaneamente della benedizione di Dio fino all’arrivo dei tempi escatologici, e nel frattempo, proprio questo rifiuto "si rivelò essere una benedizione per le nazioni". Ciò fa concludere P. Carlo che:
Dobbiamo avere la ferma convinzione che non esiste una duplice salvezza o una duplice benedizione, una per Israele e una per le nazioni. No assolutamente. La benedizione della salvezza-vita-pace mediante il Messia è unica per Israele e per le nazioni. (enfasi aggiunta).
E quindi pregare "per" la benedizione di Israele significa semplicemente pregare che "Israele sia benedetto dall’accoglienza del Messia". Riguardo all’"occupazione di Israele della Terra Santa", P.Carlo la considera essere:
Una benedizione di Dio, ma riguardante solo la sfera civile e terrena della vita d’Israele, distaccata da ogni benedizione propriamente soprannaturale di Dio su Israele, che viene ad esso solo dall’accoglienza di Gesù Messia e Figlio di Dio".
Questo, come lui spiega, è perché anche se nei tempi biblici la presenza di Israele in Terra Santa fu benedetta dalla Divina Presenza dimorante in mezzo a loro, per contrasto il Movimento Sionista moderno è essenzialmente un movimento politico laico, privo della Divina Presenza. Ciò significa che la benedizione di Dio su Israele ora è "fondamentalmente laica".
Mentre io condivido senza riserve il rifiuto di P. Carlo di una "doppia salvezza", mi chiedo se la "salvezza" debba essere direttamente uguagliata alla "benedizione", e se si possa in vero dividere Israele in una realtà "religiosa" e "secolare". Riaffronteremo questa questione in modo più esauriente più tardi.
P. Carlo poi arriva al cuore di questo studio suggerendo cinque possibili modi di intendere Israele. Essi sono:
- L’Israele dell’Antico Testamento, "il popolo la cui storia è contenuta nei libri dell’Antico Testamento fino a Gesù".
- L’Israele come Giudaismo post-cristico, "la nazione ebraica dopo il rifiuto come totalità del Messia, Gesù Cristo", ma segnata dal grave peccato, cosciente o meno, del rifiuto del Messia.
- Israele come " lo Stato e la Nazione di Israele, formati nella Terra santa dal 1947 in poi" che "non può essere più indicata come 'nazione di Dio', ma semplicemente come una nazione come tutte le altre, laica e democratica, come sono tutte le nazioni occidentali di oggi". Poiché Israele è ora uno stato secolare, "non ha più un fondamento religioso" e le sue radici giudaiche sono solo destinate ad influenzare culturalmente e spiritualmente l’identità della nazione. P. Carlo considera tre diverse comprensioni della realtà del moderno Stato di Iraele:
- La prima considera il sorgere di Israele come Stato laico "un grave peccato e una grave deroga dal modello di Stato teocratico dell’Antico Testamento" (che era allora sanzionato divinamente dalla Divina Presenza dimorante nel Tempio), in quanto non solo rifiuta il Messia ma anche di riconoscere la sua origine da Dio e il suo statuto fondamentale di vita nella Torah.
- La seconda considera il moderno e laico stato di Israele non come peccato ma come un Disegno di Dio per il Suo popolo, che ha "ricostituito l’esistenza di Israele come Nazione e come Stato… ma nello stesso tempo ha separato la sussistenza terrena, politica, economica, temporale di Israele dalla sua sussistenza come popolo di Dio, cioè dalla sua dimensione strettamente religiosa". Qui vediamo quindi una separazione tra un Israele "temporale " e "religioso". P. Carlo paragona questo duplice ambito ai domini temporali e spirituali della Chiesa Cattolica, che prevalsero per quasi tutto il Medio Evo. Come la Chiesa perse il suo potere politico nel XIX secolo, e le rimase solo la sua dimensione religiosa, così lo Stato di Israele oggi è una legittima realtà politica ma priva di ogni significato religioso. D’altra parte, la dimensione religiosa di Israele, chiamata "il Giudaismo" mantiene un fine divino, che verrà compiuto nella sua futura trasformazione nel Giudaismo Messianico. Questa seconda visione è quella personalmente accettata da P. Carlo.
- La terza comprensione del moderno stato di Israele, sostenuta sia da ebrei ortodossi sia dai messianici, detiene la convinzione di una "natura strettamente religiosa che domina l’esistenza di Israele", basata sulle profezie dell’Antico Testamento, e allo stesso tempo paradossalmente senza essere preoccupata dalla natura secolare dello Stato e dall’assenza del Tempio e della Divina Presenza al suo interno. Questa assenza di preoccupazione per il Tempio, secondo l’opinione di P. Carlo, potrebbe costituire un segno provvidenziale di Dio, che da una parte vuole che Israele sia ricostituito come nazione, ma dall’altra non desidera più dimorare nell’"Israele politico" e nel "Giudaismo antiMessianico", ma in comunità giudiaco-messianiche che diventano in Cristo il nuovo Tempio di Dio.
- In questa luce, il Giudaismo Messianico diventa la quarta comprensione di Israele, un giudaismo non antiMessianico (seconda comprensione), ma proMessianico, nel suo riconoscimento di Gesù, Messia.
- La quinta comprensione è vederlo nel suo senso spirituale e simbolico come la Chiesa. Nonostante questa interpretazione possa essere fraintesa come espressione della teologia della sostituzione, la Chiesa può anche essere correttamente compresa come "continuatrice dello sviluppo dell’Israele antico in mezzo alle nazioni in virtù dell’innesto dei Gentili sulla radice più sacra di Israele, che è il suo Messia".
A seguito dell’esposizione delle cinque comprensioni di Israele, P. Carlo apre la questione delle diverse relazioni tra queste cinque realtà, proponendo che siano occasione di un altro studio.
Poi si rivolge direttamente a me: P. Carlo sostiene che come cattolico gentile (e quindi appartenente al "quinto modo" di intendere Israele), io abbia una forte affinità con il primo (Israele dell’AT) e il quarto modo (Giudaismo Messianico), ma che erri in una certa "supervalutazione religiosa dell’Israele politico" (terzo modo). Ritornando alle due "interpretazioni ideologiche di Israele errate" che ha presentato all’inizio del suo articolo, P. Carlo spiega i disaccordi tra Cattolici per Israele e la Chiesa in Terra Santa (come espresso nella mia critica "Elefanti nella Stanza") nel fatto che la chiesa locale abbraccia l’errata "ideologia umana", che vede Israele da un punto di vista puramente laico, mentre io (e Cattolici per Israele) propendo verso l’opposta, ma anche l’errata "ideologia divina" che in qualche modo sopravvaluta le attuali benedizioni di Dio sul popolo di Israele e il significato religioso del moderno Stato di Israele.
P. Carlo afferma di sostenere una posizione intermedia:
Io sostengo che l’attuazione dello Israele come stato laico rientra nei Disegni di Dio, e quindi è giusto sostenere Israele nelle sue giuste pretese di abitare in Terra Santa, anche se non si approvano tutti i suoi modi di trattare i Palestinesi; dall’altra i Disegni veri su Israele non si concentrano sull’Israele politico, ma contemplano la conversione del Giudaismo antiMessianico in Giudaismo pro Messianico, fenomeno che si sta cominciando a verificare con la corrente attuale del Giudaismo Messianico. Fine di questo Disegno è dare al mondo il segno escatologico finale alle nazioni della prossima venuta nella Gloria del Signore Gesù con la venuta definitiva del Regno di Dio.
Questa visione, egli continua, "permette di mettere su due piani diversi l’impegno a favore di Israele come Stato in Terra Santa e l’impegno per la causa più santa di accelerare i tempi della conversione di tutto Israele verso Gesù Messia". A suo giudizio io non ho sufficientemente distinto, nel mio articolo "Elefanti nella Stanza", i due impegni e le due entità dell’"Israele politico a fondamento laico e democratico e dell’Israele religioso".
P. Carlo afferma che Israele appare nella Bibbia "sempre e solo nella sua dimensione religiosa, come portatrice della rivelazione di Dio al mondo" e che è l’"Israele politico non religioso" a rappresentare la pietra di scandalo per gran parte del mondo cristiano cattolico. Quindi è necessario comprendere il ruolo che ha Israele nel Disegno di Dio negli ultimi tempi della storia: questo ruolo non ha niente a che fare con l’instaurazione di un regno di Israele temporale e politico di Dio, ma con la venuta del Regno escatologico del Padre attraverso l’accoglienza del Messia da parte di tutto Israele.
P. Carlo conclude affermando la sua convinzione che:
È la volontà di Dio che in questi tempi Israele abbia una duplice identità: una politica come Nazione e come Stato senza relazione alla Legge di Mosè, l’altra con l’identità del Giudaismo, chiamato da Dio a trasformarsi sempre più da Giudaismo antiMessianico in Giudaismo Messianico.
Egli si sente fortemente attratto dall’origine divina del Giudaismo e dall’attuale movimento del Giudaismo Messianico, ed è un forte sostenitore di Israele come nazione – ma non vi è comunione spirituale con l’"Israele politico di oggi e il Giudaismo antimessianico che sono rappresentanti di Israele secondo la carne":
Verso l’Israele secondo la carne non c’è comunione spirituale con me cattolico; invece l’Israele Antico Testamento e il Giudaismo Messianico attuale mi sono parenti come il padre (Israele A.T.) e i fratelli (Giudaismo Messianico).
Una Risposta a P. Carlo
Mentre sono d’accordo con gran parte di ciò che ha scritto P. Carlo, vorrei mettere in dubbio, discutere, riconsiderare e forse approfondire alcuni suoi punti. In più mi sembra che P. Carlo abbia frainteso la posizione di Cattolici per Israele sul moderno Stato di Israele – e questo, forse semplicemente perché noi finora non lo abbiamo spiegato adeguatamente. Cogliamo questa opportunità per cercare di chiarire questa importante questione.
Metodologicamente, procederò come segue:
Primo, risponderò alla domanda su cosa noi intendiamo per "Israele" – usando come punto di riferimento le due "interpretazioni ideologiche di Israele errate" e i cinque modi di intendere il termine "Israele" di P. Carlo.
Secondo, discuterò l’idea della benedizione che viene "da" Israele e quella che è intesa "per" Israele.
Terzo, cercherò di chiarire in modo più approfondito il significato della nostra identità e missione come Cattolici per Israele, alla luce dei cinque modi di intendere Israele di P. Carlo.
Che cosa intendiamo per "Israele"?
Io trovo che la distinzione di P. Carlo dei modi di comprendere e interpretare Israele siano molto utili e vorrei utilizzarli come punto di partenza. Queste distinzioni ci aiutano ad identificare più precisamente cosa intendiamo quando trattiamo il complesso argomento del popolo eletto da Dio. Allo stesso tempo non posso fare a meno di percepire una sensazione di disagio riguardo alla frammentazione nelle molte categorie che egli suggerisce: cinque modi di comprendere Israele, tre modi di percepire il moderno Stato, due interpretazioni ideologiche di Israele errate e una marcata separazione tra il Giudaismo come entità religiosa e l’Israele come entità politica.
Come anche P. Carlo riconosce, oltre l’indispensabile distinzione necessaria a facilitare la nostra discussione, vi è alla fine solamente un Israele e quindi un popolo di Dio, inteso ad includere – almeno al momento della pleroma escatologica – sia Israele sia la Chiesa. Se l’attuale stato di divisione rende necessarie queste distinzioni, cerchiamo tuttavia di discuterli mentre teniamo presente l’unità del tutto, sapendo che un giorno, quando il popolo di Dio arriverà alla pienezza della perfezione, tutte queste categorie saranno dissolte.
"Due interpretazioni ideologiche di Israele errate"
Cominciamo con le due "interpretazioni ideologiche di Israele errate" di P. Carlo. La sua descrizione di queste due ideologie è davvero bilanciata?
Da una parte penso che P. Carlo descriva molto bene l’"ideologia umana", che vede Israele da una prospettiva puramente laica e lascia da parte totalmente la sua dimensione religiosa/spirituale. Influenzata dalla mentalità secolare e umanistica del mondo, non c’è dubbio che questa disastrosa ideologia sia largamente diffusa, specialmente tra i cattolici e i protestanti.
Ciononostante, mi chiedo se la sua descrizione dell’"ideologia divina" sia davvero accurata, o se non sia forse un po’esagerata – e quasi una caricatura del sionismo cristiano… È vero, ci sono alcuni gruppi fondamentalisti che tendono a idealizzare eccessivamente Israele, ma devo dire che nei miei molti anni di contatto con sostenitori di Israele evangelici, non mi ricordo di aver incontrato – neppure una volta! – un sionista cristiano che vedesse il rifiuto di Israele del Messia come un "piccolo peccato veniale, che non fa troppo danno ad Israele". Forse mi sbaglio, ma mi sembra piuttosto che la maggior parte degli amici cristiani di Israele (o almeno quelli che non hanno perso la loro fede abbracciando la teologia della duplice alleanza) comprendono molto bene la gravità del rifiuto di Israele del Messia.
A me sembra anche che la differenza più importante tra i sostenitori di ciò che P. Carlo chiama "l’ideologia umana" e l’"ideologia divina" sia un modo di vedere Israele unidimensionale o bidimensionale. I sostenitori dell’"ideologia umana" vedono le cose unidimensionalmente. Essi generalmente hanno "dimenticato" la visione dell’alleanza biblica delle Scritture e l’elezione di Dio di Israele e vedono tutto in termini umani o socio-politici. Il risultato è che molto spesso la loro professata solidarietà per i palestinesi è espressa in duro criticismo, opposizione o addirittura odio contro Israele.
Dall’altra parte, i sostenitori dell’"ideologia divina" (se non cadono negli eccessi descritti da P. Carlo) sono in grado di vedere le due dimensioni di Israele – quella umana e quella divina (francamente, è alquanto difficile non vedere la dimensione umana!). Senza negare o scusare i peccati di Israele, e mentre desiderano ancora che il popolo ebraico incontri il suo Messia, essi sono ancora in grado di vedere il proposito di Dio per il Suo popolo in tutta la loro umanità. Consci delle molte imperfezioni del popolo ebraico, li amano ugualmente, tenendo presente le parole di San Paolo: "quanto al Vangelo, essi sono nemici, per nostro vantaggio; ma quanto alla elezione, sono amati, a causa dei padri" (Rm 11:28). È l’approccio di base cristiano di "odia il peccato, ama il peccatore", applicato in un modo particolare ad Israele.
In questa luce, la descrizione di P. Carlo delle due ideologie errate mi sembra in qualche modo sbilanciata: mentre l’"ideologia umana" è molto vera e molto diffusa, l’"ideologia divina" mi sembra dipinta in un modo leggermente esagerato, e in questa forma non credo che sia affatto comune tra i sionisti cristiani.
Comunque, quello che i sostenitori dell’"ideologia divina" in effetti credono, come P. Carlo ha correttamente notato, è che la benedizione di Dio continua a brillare su Israele, anche nel loro presente stato di rifiuto del Messia. Mentre P. Carlo considera quest’attitudine essere un errore, io vorrei proporgli di riconsiderare la sua posizione, che penso derivi dal suo far corrispondere la "benedizione" di Dio alla "salvezza" di Dio. Ritornerò in seguito su questo punto.
I "cinque modi di intendere Israele"
Ora vorrei ritornare ai "cinque modi di intendere Israele" di P. Carlo. Come già detto, io tendo a vedere queste distinzioni come un modo pratico per vederle meglio unite alla fine, in quanto, dopotutto, vi è solo "un Israele" agli occhi di Dio. Un filo comune tra queste cinque "forme" di Israele – tutte profondamente interconnesse – è che tutte sono (o erano) seriamente fallate in un modo o in un altro. Tuttavia questi difetti non sono mai stati un motivo per Dio di revocare l’elezione, i doni e le chiamate fatte al Suo popolo, o un ostacolo che gli abbia impedito di rivelare il Suo proposito nella loro vita e storia.
(1) Israele come l’Israele dell’Antico Testamento
L’Israele dell’AT è naturalmente ugualmente riconosciuto dagli ebrei e dai cristiani come beneficiario della rivelazione, degli oracoli e delle promesse di Dio e "lo strumento scelto da Dio per portare la benedizione di Dio e la luce della salvezza a tutte le nazioni". Esso costituisce il fondamento biblico, storico e teologico di tutti gli altri modi di comprendere Israele (e la Chiesa) oggi.
Ciononostante, Israele adempie questo rimarchevole ruolo fallendo piuttosto miseramente lungo tutto il corso della sua storia: dai fallimenti morali dei patriarchi, al peccato del vitello d’oro e alla ribellione degli Israeliti nel deserto, gli episodi di disobbedienza durante la conquista di Giosuè, l’anarchia morale dei tempi dei Giudici, l’insubordinazione di re Saul, l’adulterio e assassinio di Davide, la promiscuità, avidità e idolatria di Salomone, le lunghe linee di re mediocri e corrotti di Israele e di Giuda, la quasi assimilazione alla cultura pagana in Babilonia, l’intraprendere matriomoni misti proibiti nel Periodo del Secondo Tempio e la compromissione con le culture pagane greche e romane fino ai tempi di Gesù. In realtà ci sono stati pochi momenti rimarcabili nella storia dell’AT. Questa storia è segnata frequentemente da punizioni divine, tuttavia queste punizioni avevano sempre una funzione correttiva da parte del Padre, per il bene di Israele, il primogenito ribelle di Dio.
A questo riguardo, io non vedo affatto come Israele appaia "sempre solamente nella sua dimensione religiosa" nell’AT. Come può essere separata la "dimensione religiosa" da tutte le altre dimensioni che lo costituiscono come popolo e nazione, inclusi i suoi costumi e tradizioni, il suo governo e amministrazione, le sue guerre, gli intrighi politici, i peccati, i fallimenti e anche i momenti di apostasia? Pensa per esempio al Periodo del Secondo Tempio nei secoli che precedettero l’istituzione della Nuova Alleanza. Israele non era più una teocrazia divina con la Divina Presenza nel loro mezzo come ai tempi di Davide e Salomone, e ai tempi di Gesù, sotto il dominio romano, il suo sistema politico e religioso era largamente corrotto. Ciononostante il triste stato spirituale di Israele non influisce in nessun modo sul fatto che esso rimane il veicolo umano della rivelazione e delle promesse di Dio (cf. Mt 23:1-3), dal quale venne il Messia e la Parola fatta carne
(2) Israele come Giudaismo post-cristico (non Messianico)
Con il rifiuto del Messia da parte della maggior parte del popolo ebraico, la distruzione del Tempio e la rinnovata dispersione nel galut, Israele entra un’altra fase – tragica – della sua storia. Come dice P. Carlo, il giudaismo dopo Cristo preservava ancora "la continuità di Israele come nazione" e gli ebrei rimanevano lo stesso popolo che "sono israeliti e possiedono l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse, i patriarchi; da essi proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli." (Rm 9:4-5)
Per contrasto, i sostenitori della tradizionale teologia della sostituzione essenzialmente affermano che l’Israele dell’AT (1) come popolo eletto da Dio, e beneficiario della divina rivelazione, ha cessato di esistere ed è stato rimpiazzato da (o è degenerato in ) un impostore – l’Israele non credente – ora disperso tra le nazioni a causa della sua incredulità. A me sembra che i cristiani debbano guardarsi dalla "Grande Disconnessione" tra l’Israele dell’AT e il Giudaismo post-cristico. In quanto non si tratta di una rottura e divisione largamente artificiali di una sola entità e un solo popolo? Malgrado un ulteriore massiccio fallimento – in effetti il più grande di Israele – gli ebrei rimangono lo stesso popolo dell’alleanza, attaccati alla stessa fede, tradizioni e usanze e sono ancora inclini al peccato e all’errore. Proprio come la distruzione del Primo Tempio e l’Esilio Babilonese non hanno intaccato la fondamentale elezione divina e chiamata di Israele, così i simili tragici eventi della distruzione del Secondo Tempio e la dispersione tra le nazioni non hanno minato la stessa elezione e chiamata.
Per questa ragione e nonostante il rifiuto di Israele di Cristo e la nascita della Chiesa, io esiterei a tracciare una netta linea di separazione tra l’Israele dell’Antico Testamento e il giudaismo post-Cristico, almeno rispetto alla loro identità, elezione, doni e chiamata, che le Scritture chiamano "irrevocabili" (Rm 11:29).
(3) Israele come Moderno Stato di Israele
Più complessa è la questione del moderno Stato di Israele. Vorrei riconsiderare l’affermazione di P. Carlo che questa nazione "non può essere più indicata come 'nazione di Dio'" e che Dio ha "separato la sussistenza terrena, politica, economica, temporale di Israele dalla sua sussistenza come popolo di Dio, cioè dalla sua dimensione strettamente religiosa".
Cesare e Dio: sui domini temporali e spirituali
Cominciamo con la seconda affermazione: Dio ha veramente separato le dimensioni temporali e religiose di Israele? Come abbiamo visto, non esisteva una tale divisione nell’Israele dell’AT (1). In più, il concetto è anche estraneo al giudaismo post-cristico (2): in quanto, sebbene gli ebrei nella loro lunga dispersione erano deprivati di una nazione e stato sovrano, il giudaismo tradizionale non ha mai avuto un concetto di completa separazione tra vita temporale/civile e religiosa. Al contrario, la vera essenza della halakha, il modo di vivere ebraico, unisce intimamente i due domini: ogni aspetto della vita dell’individuo ebraico e pesino l’amministrazione locale della comunità ebraica è guidata e regolata dai precetti della Torah.
Solo in tempi moderni, con l’emancipazione e la secolarizzazione del giudaismo, ciò cominciò a cambiare. E infatti, a prima vista, sembra che P. Carlo abbia ragione: contrariamente all’istituzione dell’Israele dell’AT, che aveva al suo interno la Divina Presenza, il moderno Stato di Israele era largamente fondato su basi e principi secolari. A causa di questo fondamento laico, P. Carlo desidera applicare al moderno Stato di Israele il detto di Gesù: "rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Mt 22:21). Egli afferma che:
Se Israele come nazione è da Dio… Israele come stato appartiene più a Cesare che a Dio, e quindi l’amministrazione delle sue questioni è più politica che religiosa. I testi profetici della Bibbia riguardanti il possesso della Terra Santa da parte di Israele si applicano più all’Israele come nazione che all’Israele come stato moderno laico che ora governa la nazione. Il Disegno di Dio riguardante Israele come popolo di Dio deve essere giudicato alla luce dell’era del Messia che è venuto, che non è ancora stato accettato da Israele e di nuovo verrà. Il regime attuale in Israele, invece, è problematico e deve essere giudicato più in termini di direttive e di giustizia politiche che in termini di profezie bibliche (enfasi aggiunta).
Non ho una grande obiezione a questo passaggio: Concordo che il corrente Stato e governo secolare in Israele appartenga più a Cesare che a Dio, e più al dominio politico che a quello religioso. Ciononostante, mi sembra che bisogna fare una netta distinzione tra la questione dello Stato e governo da una parte, e la questione della relazione della nazione con la terra dall’altro.
La Chiesa ha sempre compreso il detto di Gesù su Cesare e Dio, facendo una separazione tra i domini politico-temporali e spirituali. Ciò è corretto, perché fin dai suoi primordi la Chiesa ha sempre inteso essere un regno spirituale che non è "dal mondo", autonoma da tutte le forme di possedimenti territoriali e potere politico: quindi l’unione dei poteri temporali e spirituali della chiesa che cominciarono con Costantino e finirono nel XIX secolo (anche se durata per la maggior parte della storia della Chiesa) dovrebbe essere considerata come una sorta di anomalia e deviazione dal modello suggerito da Gesù. Si potrebbe addirittura dire che la perdita dell’autorità temporale della Chiesa fu un ritorno benefico ad una Chiesa più autentica, che le permise una maggiore libertà nell’esercitare la sua autorità spirituale.
La natura spirituale e non politica della Chiesa ha un’altra implicazione, ovvero che, strettamente parlando, la posizione geografica del successore di Pietro e della Santa Sede ha poca importanza. Che il papa abbia la sua sede a Roma, ad Avignone, a Gerusalemme, a Costantinopoli o a Timbuktu non influenza la sua autorità spirituale come successore di Pietro.
Due differenti questioni di Israele: il governo politico e la presenza nella Terra
Comunque questo non è il caso della relazione del popolo ebraico con la Terra di Israele. In quanto le Sacre Scritture ripetutamente e consistentemente affermano che Eretz Israel è una parte integrante ed inseparabile dell’alleanza di Dio con il suo popolo (vedi Rivelazione Biblica e Terra di Israele). Se vi può essere una Chiesa Cattolica senza una Città del Vaticano, non vi può essere un Giudaismo senza la Terra di Israele – com’è attestato in ogni preghiera ebraica. Quindi il profondo attaccamento degli ebrei alla loro terra appartiene al dominio della rivelazione e promessa divina e non al dominio dell’amministrazione civile/politica/temporale. Ciò significa anche che non possiamo tracciare una rigida linea di separazione tra il Giudaismo e Eretz Israele – in quanto la fede e la terra sono teologicamente inseparabili (questo fatto mostra l’errore nella posizione di coloro che affermano di non essere "antisemiti" ma solo "antisionisti", poiché rinnegare l’attaccamento degli ebrei alla Terra è come rinnegare totalmente la vera legittimazione del giudaismo).
Quando si parla della relazione tra le dimensioni politiche/temporali e teologiche/spirituali del moderno Stato di Israele, quindi, dobbiamo aggiungere una distinzione importante:
Da una parte abbiamo l’attuale forma politica dello Stato di Israele che governa la Terra Santa come uno stato secolare e democratico, incline all’errore, al peccato e certamente in alcuni casi colpevole di aver commesso ingiustizie, che sia contro i palestinesi o altri;
Dall’altra, tuttavia, abbiamo una profonda connessione biblica tra il popolo ebraico e la Terra di Israele, che scaturisce direttamente dall’alleanza e dalle promesse divine, mai revocate nel Nuovo Testamento.
La difficoltà si trova nel fatto che le due dimensioni, lo Stato e la Terra, il secolare e il profetico, l’umano e il divino, sebbene distinti, sono profondamente interconnessi e non possono essere nettamente e chirurgicamente separati. Prendendo in prestito un’espressione da Rina Geftman, potremmo dire che lo Stato di Israele è "semplicemente la cornice politicamente indispensabile di una realtà che di gran lunga la sorpassa". Così esso è politico e non religioso, ma ugualmente indispensabile, in quanto, in che altro modo potrebbe sopravvivere il popolo ebraico come nazione in Israele senza uno Stato?
Il punto chiave dovrebbe essere enfatizzato e ripetuto: sebbene non sia un fine a se stesso, l’attaccamento del popolo ebraico alla terra di Israele appartiente al dominio divino/biblico/profetico e non a quello umano/politico; è una parte intrinseca della rivelazione divina, a prescindere dal fatto se lo stato attuale abbia una forma religiosa o secolare.
In questa luce, mi sembra problematico comparare Israele e la Chiesa in termini di domini temporali e spirituali, perché questi domini non sono proprio gli stessi per entrambe le entità. Se per la Chiesa il dominio temporale include il potere politico e il possesso del territorio, per Israele esso include solo il potere politico, in quanto la questione della terra appartiene alla rivelazione e alla profezia divina.
In questo senso non potremmo dire che il moderno Israele è in realtà ancora la "nazione di Dio" – che è, non lo Stato politico secolare con tutti i suoi difetti umani, ma la realtà del popolo ebraico dimorante nel Paese che Dio un tempo aveva loro promesso?
La Presenza Ebraica in Israele alla Luce della Profezia Biblica
Vi è tuttavia un classico argomento contro questa affermazione, che P. Colonna ha menzionato: il dono della Terra non era dipendente dalla fedeltà di Israele all’alleanza? Se fosse così allora, dal momento che gli ebrei sono stato doppiamente infedeli a Dio rifiutando il Messia e stabilendo lo Stato di Israele su un fondamento puramente secolare, allora sicuramente non possiamo attribuire nessun significato divino a questo Stato.
Ora, è vero che il possesso di Israele della terra era originariamente dipendente dalla loro fedeltà all’alleanza e alla Torah (cf. Dt 30:20). Ma l’argomento contro la rivendicazione divina del popolo ebraico della terra di Israele sulla base della natura secolare dello Stato o i peccati commessi dalla nazione ebraica tralascia tutte le profezie bibliche che parlano di Dio che sovranamente e misericordiosamente ridona al popolo ebraico la loro terra mentre si trova ancora in uno stato di ingiustizia. Le Scritture mostrano come Dio faccia terminare il lungo esilio di Israele, non grazie a nessun merito religioso o morale dalla loro parte, ma piuttosto a un dono che scaturisce interamente dalla Sua grazia e misericordia. Solo dopo che il popolo ebraico sarà stato radunato nel suo paese, ancora "immondo" per le loro iniquità, ancora con un "cuore di pietra" (Ez 36:25-26, 31) e ancora privi di vita spirituale (Ez 37:8) Dio verserà il Suo Spirito in loro, li laverà dalle loro iniquità e gli darà un cuore nuovo (cf. Ez 36:24-29; 37:12-14; Rivelazione Biblica e Terra di Israele).
Considerando ciò, è irrilevante – o ancora di più, è interamente in accordo con la profezia biblica – che i primordi del moderno movimento sionista e l’instaurazione dell’attuale Stato di Israele furono/sono in gran parte secolari in natura. Dio non è rimasto escluso dal moderno ritorno a Sion. Al contrario, non potrebbe Egli aver agito provvidenzialmente e silenziosamente, in accordo con la Sua Parola, nel far ritornare il Suo popolo a casa per mezzo di un movimento largamente secolare - anche se mischiato con tutti i disordini e i peccati dell’umanità di Israele (proprio com’era nell’AT)? E se il ritorno degli ebrei nel paese di Israele in realtà costituisce l’inizio della loro redenzione come annunciato dai profeti, non è questo interamente coerente con il messaggio di salvezza per grazia annunciato nel Nuovo Testamento, in vero un "dono di Dio non dalle opere, perché nessuno possa vantarsene"(Ef 2:9)?
Inoltre, anche se è vero che alcuni dei pionieri ebrei dei primi movimenti sionisti erano religiosi, non dovremmo dimenticare che in molti casi essi furono incoraggiati e supportati da moti devoti cristiani, che per decenni pregarono che Dio restaurasse il Suo popolo nella loro Terra (vedi: David Brog, Standing with Israel: Why Christians Support the Jewish State, pp. 91-130). Qui noi vediamo proprio il concetto cattolico della comunione dei santi in opera: forse Dio ha agito a favore di un Israele infedele sulla base dei meriti di quei devoti cristiani che hanno pregato per lui? Si potrebbe anche aggiungere che oggi il moderno stato di Israele non è poi così secolare come P. Carlo lo descrive: infatti il cuore del movimento sionista è largamente composto da ebrei religiosi che hanno una grande devozione per la Torah.
Riassumendo: a parte alcune sfumature, mi sembra che la posizione di P. Carlo e la mia siano piuttosto simili. Quando si considera il moderno Israele, sì, vi è una distinzione tra Cesare e Dio – tra i domini temporali/politici e quelli spirituali/profetici. Comunque, se lo stato secolare appartiene al primo, il ritorno degli ebrei alla terra certamente appartiene al secondo, essendo largamente in conformità con le profezie che parlano del ritorno di Israele alla terra in uno stato di peccato e infedeltà. Al tempo stesso, questo ritorno al paese non è un fine a se stesso ma un passo necessario che precederà la loro redenzione finale.
(4) Israele come Giudaismo Messianico
P. Carlo propone che il Giudaismo Messianico sia il quarto e forse il modo ideale di comprendere Israele, dal momento che il vero Disegno di Dio su Israele "non si concentra su un Israele politico, ma provvede alla conversione del Giudaismo antiMessianico in Giudaismo pro Messianico". Ovviamente sono d’accordo con P. Carlo nel vedere il movimento giudaico-messianico in modo molto positivo: è facile concepire come essi potrebbero essere le primizie della redenzione finale di Israele, una redenzione che porterà una benedizione universale a tutta la Chiesa e al mondo.
Detto questo, ho due grandi riserve concernenti il giudaismo messianico e il modo in cui essi definiscono la loro identità. A causa di queste riserve, io personalmente esito a dipingere il giudaismo messianico come "forma ideale" o "completamento" del giudaismo. La prima riserva riguarda il modo in cui gli ebrei messianici si correlano con il giudaismo; la seconda riguarda il modo in cui gli ebrei messianici si correlano con la Chiesa. Entrambi i problemi hanno a che fare con il fatto che gran parte degli ebrei messianici sono stati evangelizzati da protestanti evangelici e conseguentemente hanno largamente adottato l’attitudine protestante del giudizio soggettivo e privato dell’interpretazione delle Scritture e in decidere per se stessi cos’è "la verità" - indipendentemente da ogni comunità di fede, Sacra Tradizione o forma di autorità riconosciuta.
Gli Ebrei Messianici e il Giudaismo
Riguardo alla loro relazione con il giudaismo, ogni singolo ebreo messianico ha una differente opinione su come correlarsi alla Torah, alla tradizione ebraica e alla halakhah, come definire la loro identità ebraica, quali comandamenti devono o non devono osservare, quale forma di culto preferire, ecc… A causa di questa attitudine "prendi e scegli quello che vuoi" gli ebrei ortodossi spesso accusano gli ebrei messianici di aver completamente abbandonato il giudaismo e le sue ricche tradizioni ed eredità, mantenendo solo una sottile patina del folklore ebraico, coprendo ciò che è essenzialmente la sostanza del cristianesimo evangelico.
Ora, come cattolico gentile, non sta a me dire agli ebrei messianici quali parti del giudaismo dovrebbero osservare o non osservare. La mia difficoltà sta nel fatto che se noi cattolici vediamo come l’"Israele compiuto" gli ebrei messianici che hanno percorso la strada del soggettivismo privato e dell’annacquamento della loro identità ebraica, allora non è la stessa cosa come dire che il "miglior ebreo" è in effetti l’ebreo che ha abbandonato il giudaismo e l’eterna eredità di Israele?
La mia posizione a questo riguardo è ambivalente: da una parte gioisco del fatto che i miei amici ebrei abbiano trovato Yeshua il Messia e sono entrati in una personale relazione con Lui. Dall’altra, nei miei anni di scoperta, studi ed esperienza del giudaismo tradizionale, e questo nonostante il suo grandissimo neo nell’aver mancato il Messia, ho potuto apprezzare immensamente la ricchezza e la profondità della fede, delle tradizioni e del modo di vivere ebraico. Troverei quindi deplorevole che la comunità dei credenti ebrei in Gesù perdesse questa ricca eredità o cadesse nell’anarchia di " ad ogni uomo la sua opinione". Può una tale comunità essere veramente un "Israele ideale"?
Gli ebrei messianici e la Chiesa
Il problema della relazione tra il giudaismo messianico e la Chiesa (per "Chiesa" io intendo qui la Chiesa Cattolica) è piuttosto simile, essendo essa seriamente compromessa dalla dottrina protestante del giudizio soggettivo e privato. In un certo senso, la difficoltà qui è ancora peggiore, perché il difficile bagaglio storico delle relazioni ebraico-cristiane ha lasciato un profondo risentimento nell’anima ebrea contro la Chiesa, che non va via necessariamente con la fede in Gesù. E così, la prevalente attitudine tra molti ebrei messianici è di dissociare se stessi il più possibile dalla Chiesa Cattolica. In altre parole, "Io voglio Yeshua, ma non voglio la Chiesa".
Se questo atteggiamento è comprensibile alla luce della storia, teologicamente è un disastro, perché gli ebrei messianici rimangono con una fede frammentata e incompleta, dovendo costantemente fare i conti con un’anarchia dottrinale e nessun punto di riferimento autoritario di come definire la loro fede, mancando la guida del successore di Pietro, mancando la continuità e stabilità della successione apostolica, mancando le benedizioni del sacerdozio istituito da Cristo, mancando la grazia e la potenza dei sette sacramenti e specialmente della Vera Presenza del Signore nell’Eucaristia, mancando le benedizioni e il calore di un’intima comunione con la loro propria madre ebraica Miriam (Maria), mancando una piena comprensione della comunione dei santi e molto di più…
Così, nonostante il mio generale sostegno e simpatia per il movimento messianico e l’innegabile fervore e dedicazione di molti dei suoi membri, il movimento si trova ancora in una fase molto immatura della sua esistenza. Considerando il grave deficit che ho sopra descritto, visto da entrambe le prospettive, quella ebraica e quella cattolica, mi domando se il giudaismo messianico non appaia spesso come una combinazione di una forma leggera e incompleta di giudaismo e cristianesimo – mancando i loro migliori e ricchi elementi del giudaismo e del cattolicesimo… Per questa ragione, trovo molto difficile considerare il giudaismo messianico, nella presente forma, come l’Israele "ideale" o "compiuto", e proporrei invece come movimento che si avvicina molto più a questo ideale il movimento ebraico-cattolico o giudaico-cattolico.
(5) Israele come la Chiesa
Come P. Carlo ha fatto notare, non dobbiamo temere nel dire che la Chiesa è anche, in un certo senso, il "Nuovo Israele" – sempre se questo nome venga compreso non come una sostituzione di Israele nella carne, ma come un’espressione dell’innesto della Chiesa nella radice di Israele e nel Messia ebraico. Qui ho notato che i cattolici che sono coinvolti nel dialogo ecumenico con gli ebrei messianici, occasionalmente hanno la tendenza di attenuare l’unicità e l’unità della chiesa. Senza rinnegare la grande opera del movimento degli ebrei messianici e in altre confessioni cristiane, e consci che il movimento dello Spirito Santo certamente trascende i visibili confini della Chiesa Cattolica, non dobbiamo dimenticare che, come ci ricorda il Concilio Vaticano Secondo, la Chiesa di Cristo "sussiste nella Chiesa Cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui", attraverso i quali "si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza" (LG 8, UR3, CCC 816). Poiché "le comunità ecclesiali che non hanno conservato l’Episcopato valido e la genuina e integra sostanza del mistero eucaristico, non sono Chiese in senso proprio", ne consegue che "i fedeli non possono immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma – differenziata ed in qualche modo unitaria insieme – delle Chiese e Comunità ecclesiali" (Dominus Iesus 17).
Quindi in tutto in nostro lavoro di apprezzamento, stima e amore per Israele – che sia l’Israele dell’Antico Testamento, il giudaismo tradizionale, il moderno Stato di Israele o il giudaismo messianico – rimaniamo convinti che la pienezza della comunione con Cristo e dei mezzi della salvezza siano da trovarsi nella Chiesa Cattolica e nella fede cattolica, e che sia proficuo per tutti entrare nella chiesa per godere della pienezza delle benedizioni di Dio – senza perdere nessuna delle buone cose che sono particolari della ricca eredità di Israele.
Excursus: Benedizione di Dio "da" e "per" Israele
Discutiamo ora la questione della benedizione che viene "da" Israele e quella intesa "per" Israele. Il classico testo di prova menzionato dai sionisti cristiani per sostenere l’idea di "benedire Israele" per essere a sua volta benedetti è la promessa di Dio fatta ad Abramo: "Benedirò coloro che ti benediranno e coloro che ti malediranno maledirò; e in te si diranno benedette tutte le famiglie della terra" (Gn 12:3). San Paolo interpreta la pienezza di questa benedizione abramica come compiuta in Cristo. (cf. Gal 3:14).
Seguendo una stretta interpretazione di San Paolo, P. Carlo afferma che egli non crede che nessuna particolare benedizione possa venire da Israele a parte Cristo, e che quindi non è d’accordo con l’affermazione del sionista cristiano che "la benedizione di Dio brilla sempre su Israele" nel loro presente stato di rifiuto del Messia. P. Colonna sostiene anche fortemente che non esiste "una duplice salvezza o una duplice benedizione, una per Israele e una per le nazioni. No assolutamente". Non esiste nessuna benedizione particolare per Israele se non viene in e tramite Cristo; e così, pregare "per" la benedizione di Israele significa semplicemente pregare che "Israele sia benedetto dall’accoglienza del Messia".
Vorrei mettere in discussione questa posizione, prendendo come base il fatto che la "benedizione" non è necessariamente sinonimo di "salvezza" nelle Scritture. Sono d’accordo con P. Carlo che le primarie benedizioni del perdono, salvezza e vita eterna possano solo venire da Gesù. Ma mentre la salvezza eterna è certamente la benedizione di Dio più grande, la vita è piena anche di altre benedizioni, che, seppur non costituiscano necessariamente una salvezza eterna, sono espressione di essa nel manifestare la bontà e la misericordia di Dio. E quindi mentre io concordo con P. Carlo che non esista una "duplice salvezza" per Israele e per le nazioni, io credo che Dio provveda ad elargire una moltitudine di benedizioni per l’umanità allo scopo ultimo di rivelare la sua salvezza al mondo – e alcune di queste benedizioni sono direttamente correlate ad Israele.
Guardiamo solo alcuni esempi: prima vi è la benedizione naturale che sgorga dalla bontà inerente alla creazione. Dio ha benedetto l’uomo e lo Shabbat quando ha completato l’opera della creazione (Gn 1:28; 2:3), e da allora ha continuato a mandare la sua benedizione a tutta l’umanità, "facendo sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e facendo piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (Mt 5:45).
Poi vi è la benedizione naturale di pace e prosperità promessa ad Israele come ricompensa per la loro fedele osservanza della Torah, come descritta nel libro di Deuteronomio. (cf. 28:1-6).
Vi è anche la naturale benedizione che scaturisce da una vita di virtù, come descrive il salmista:
Chi salirà il monte del SIGNORE, e chi sarà nel suo luogo santo? Chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronuncia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo. Egli otterrà la benedizione dal SIGNORE, giustizia da Dio sua salvezza. (Sal 24:3-4)
Persino i greci antichi scoprirono, lontani dalla divina rivelazione, che una vita virtuosa è il modo migliore per ottenere una felicità naturale e terrena. Quindi persino un uomo che non crede in Dio ma fa del suo meglio per essere premuroso, generoso, gentile, altruista, onesto e buono verso gli altri certamente sarà "benedetto", amato e apprezzato; forse la sua virtù naturale addirittura lo preparerà per l’opera di grazia di Dio nel suo cuore.
Ora considera la benedizione che viene dall’elezione. Prendi la Parabola del Figliol Prodigo – o l’esempio di qualsiasi figlio prodigo che sia fuorviato e che abbia deluso o tradito la fiducia di suo padre. Nonostante il peccato, il figlio perduto non sarà ugualmente amato in modo speciale dal padre – molto più che, per esempio, il figlio del suo vicino che abbia vissuto una vita esemplare? Quanto più Israele, il "figlio primogenito" ribelle di Dio, che malgrado il suo peccato e la sua disobbedienza, conserva un posto speciale nel disegno di Dio per l’umanità.
Ora, considera la benedizione che viene dal benedire gli altri: immagina che nel mezzo della sua vita di peccato e alienazione da suo padre, il nostro figlio prodigo incontra una persona che lo critica, lo biasima, lo sfrutta, e con fredda indifferenza, lo deruba della sua ultima dignità. Poi una seconda persona arriva, lo lava, gli dà un po’ di soldi e lo incoraggia a tornare alla casa di suo padre. Lentamente la nostra parabola del Figliol Prodigo diventa la parabola del Buon Samaritano. Dopo che il figlio prodigo torna a casa e il padre gioiosamente lo abbraccia e celebra il suo ritorno, chi pensi che il padre voglia anche benedire – il primo uomo che ha biasimato duramente suo figlio per la sua vita dissipata, o il secondo uomo che amorevolmente lo ha aiutato a tornare a casa? Non vorrà ora il Padre benedire ed esprimere la sua gratitudine allo sconosciuto che ha aiutato il suo figlio ribelle a tornare a casa?
Alla luce di questi principi, riconsideriamo ora la benedizione abramica e la benedizione promessa a coloro che benedicono i discendenti di Abramo. Non potrebbe essere che in aggiunta alla sua benedizione universale su tutta la creazione e senza parzialità riguardo alla salvezza, Dio continui ad avere un posto speciale nel suo cuore per il Suo "primogenito" (Es 4:22), coloro che sono ancora "amati a causa dei padri" (Rm 11:28)? Ricorda le parole del Signore pronunciate tramite Geremia:
Ti ho amato di amore eterno, per questo ti conservo ancora pietà. Ti edificherò di nuovo e tu sarai riedificata, vergine di Israele. … Non è forse Efraim un figlio caro per me, un mio fanciullo prediletto? Infatti dopo averlo minacciato, me ne ricordo sempre più vivamente. Per questo le mie viscere si commuovono per lui, provo per lui profonda tenerezza. Oracolo del SIGNORE. (Ger 31:3-4, 20)
Non è il modo in cui Balaam, il figlio di Beor comprese la benedizione di Abramo quando la ripeté quasi parola per parola, quando egli profetizzò sui figli di Israele a Moab e li benedisse contrariamente agli ordini che aveva ricevuto di maledirli (Nm 24:9)? Anche se la piena benedizione della salvezza è ancora tenuta nascosta al primogenito di Dio fino al riconoscimento del Messia, non potrebbe essere che il Signore abbia ancora una benedizione parziale per loro, grazie alla loro elezione, ai meriti dei patriarchi e progenitori, forse grazie ai loro tentativi, facendo del loro meglio, di osservare fedelmente la Torah e di vivere una vita giusta? E soprattutto, come potrebbe Dio non benedire il lungo sentiero di sofferenza del popolo ebraico attraverso le epoche, che è stato identificato essere così simile alla croce di Cristo?
Riguardo alla benedizione su coloro che benedicono Israele: data la benedizione naturale che si posa su coloro che amano e vivono una vita di virtù, e tenendo presente che ogni atto di carità diretto verso chiunque porta una certa quantità di benedizione, è così strano pensare che quei gentili che hanno un amore speciale per il popolo ebraico, per l’Israele primogenito e figliol prodigo, possano trovare uno speciale favore agli occhi di Dio? Non può Egli essere compiaciuto con coloro che sono stati gentili con i figli di Abramo, Isacco e Giacobbe e hanno preso seriamente l’esortazione di Isaia che dice "consolate, consolate il mio popolo" (Is 40:1)?
Come siamo "per" Israele?
Alla luce della nostra lunga discussione sui cinque modi di comprendere Israele e sull’idea di "benedire" il popolo di Dio, posso finalmente cercare di spiegare meglio come Cattolici per Israele intende essere una benedizione "per" Israele. Non dovrebbe essere una sorpresa ora se mi chiedessi "quale modo di comprensione di Israele sostieni in modo particolare", io risponderei: "tutti", in quanto io non li vendo come entità separate, ma piuttosto come cinque aspetti di una stessa unica realtà. Ciononostante, le categorie di P. Carlo torneranno nuovamente utili nell’aiutarmi a chiarire come possiamo al meglio sostenere ed essere una benedizione per ognuna di queste manifestazioni di Israele:
1) "Benedire" l’Israele dell’Antico Testamento
L’Israele dell’Antico Testamento è il primario fondamento biblico, storico e teologico per comprendere Israele, Gesù e qualsiasi cosa che riguardi la fede cristiana. Ciononostante, come possiamo essere "per" una realtà che appartiene ad un tale distante passato? Speriamo di ottenere ciò:
- facendo largo uso dell’Antico Testamento nella nostra catechesi e nell’insegnamento della fede cattolica, poiché come "parte ineliminabile della Sacra Scrittura", i suoi libri divinamente ispirati "conservano un valore perenne, in quanto l’antica alleanza non è mai stata revocata". (CCC 121);
- combattendo il neo Marcionismo, che cerca di distaccare la fede Cristiana dall’Antico Testamento e la storia ed eredità di Israele (cf. CCC 123);
- affermando l’ebraicità di Gesù, Maria, degli apostoli e della Chiesa primitiva;
- mostrando che l’Antica Alleanza non è un’antica reliquia del passato ma è ancora viva oggi, affermando la continuità biblica, storica e teologica tra l’Israele dell’AT e la storia del popolo ebraico dopo la venuta di Cristo.
2) Benedire il Giudaismo Post-Cristico
Come dovremmo essere "per" il giudaismo post-cristico e una "benedizione" per il popolo ebraico di oggi?
- combattendo ogni forma di antigiudaismo e antisemitismo, e chiamando i cristiani a pentirsi delle opere, parole e atteggiamenti passati e presenti di antisemitismo;
- combattendo la teologia della sostituzione, che afferma che la Chiesa ha sostituito gli ebrei come popolo scelto da Dio;
- educando i cristiani sulla ricchezza della fede, le tradizioni, la liturgia e le preghiere ebraiche e mostrando come esse effondano luce su Cristo e sulla fede Cristiana;
- insegnando ai cristiani a vedere la mano e l’azione di Dio nella storia del popolo ebraico e la loro stretta identificazione con Cristo nella loro lunga via dolorosa avvenuta nel corso della storia;
- amando e "confortando" il popolo ebraico, affermando la fedeltà di Dio e la permanenza delle Sue promesse su di loro nel passato, presente e futuro;
- chiamando gli ebrei a pentirsi quando sono stati infedeli alla loro propria chiamata di essere "luce delle nazioni", e invitandoli ad una più grande santità e fedeltà nei confronti di Dio;
- operando e pregando per la benedizione e la salvezza del popolo ebraico verso la loro riconciliazione con il Messia e la Chiesa.
3) Benedire il Moderno Stato di Israele
Come abbiamo discusso, parlando dell’Israele moderno, dobbiamo distinguere tra:
(a) la presenza del Popolo ebraico nel paese di Israele (che appartiene al dominio della rivelazione divina) e l’esistenza dello stato di Israele come sua "cornice politicamente indispensabile";
(b) la particolare forma di questo Stato come democrazia secolare e la sua amministrazione, incluse le sue dimensioni politiche, civili e militari (che appartengono al dominio umano/temporale);
Cattolici per Israele non ha mai affermato che il moderno stato di Israele nel suo aspetto politico detenga un qualsiasi tipo di significato divino, o sia comparabile in qualche modo con il regno di Israele dell’Antico Testamento, o sia un fine a se stesso, indipendente dalla chiamata spirituale di Israele di raggiungere la sua pienezza di redenzione del Messia. Quindi dobbiamo tenere presente questa distinzione quando parliamo di "benedire" Israele come Stato.
Sul primo livello, riguardo alla presenza nel paese, che è correlato alla divina rivelazione, essere "per" Israele tocca in particolare la virtù della fede – credere nella Parola di Dio – e include:
- affermare la dimensione profetica del ritorno del popolo ebraico nella Terra di Israele e diffondere la consapevolezza di questa dimensione tra i cristiani che non sono in grado di vedere la connessione tra le promesse bibliche e il moderno ritorno degli ebrei nel paese;
- resistere e combattere ogni forma di delegittimazione e odio per lo Stato di Israele, specialmente quando viene messa in questione la sua vera esistenza;
- combattere l’antisionismo (che è spesso camuffato da antisemitismo) che rinnega l’attaccamento ebraico alla Terra di Israele, e il tentativo da parte di alcuni cristiani di creare una netta linea di divisione e una "Grande Disconnessione" tra l’Isrele della Bibbia e l’Israele di oggi.
Sul secondo livello, riguardo alla forma e all’amministrazione dello Stato, essere "per" Israele include in particolar modo essere per le virtù di giustizia, correttezza, e verità, e include:
- opporre le falsificazioni o distorsioni della narrativa storica del conflitto medio-orientale che sono comunemente diffuse per appoggiare il programma politico palestinese (per esempio, rinnegare la connessione storica di Gerusalemme o rappresentare sempre Israele come l’aggressore);
- opporre individui, organizzazioni, comunità religiose o nazioni che ingiustamente biasimano o criticano lo Stato di Israele per tutte le sue azioni, mentre rimangono in silenzio sulle aggressioni e le incitazioni arabe/palestinesi/islamiche contro lo stato ebraico;
- respingere le menzogne propagate contro Israele, come la falsa affermazione di essere uno "stato da apartheid", quando in effetti è una società molto tollerante e multiculturale e che include arabi a tutti i livelli;
- Affermando il diritto degli ebrei di vivere nell’area biblica di Giudea e Samaria (proprio come un milione di arabi sono in grado di vivere nello Stato di Israele) – senza comunque condonare nessun atto di ingiustizia o di violenza che sia stato commesso dai coloni;
- resistere le calunniose campagne che cercano di minare o indebolire lo Stato di Israele per mezzo di boicottaggi e sanzioni;
- affermare il diritto legittimo di Israele di difendere se stesso dagli attacchi perpetrati contro la sua popolazione o il suo territorio, sia con atti di terrorismo sia con la guerra;
- criticare legittimamente e persino condannare azioni israeliane ingiuste e deplorevoli, quando queste avvengono realmente;
- chiamare gli israeliani a pentirsi dal peccato, di ritornare a Dio, di confidare in Lui nel costruire una società e una nazione più giuste e morali, e invitarli a scoprire Yeshua il Messia che è la via, la verità e la vita.
4) Benedire il giudaismo messianico
Noi a Cattolici per Israele certamente desideriamo benedire il movimento ebraico messianico e i credenti messianici, che sono le "primizie" della redenzione di Israele. Noi speriamo di fare ciò:
- affermando l’identità degli ebrei messianici e rispettando e incoraggiando il loro desiderio di preservare e promuovere la loro identità ebraica come credenti ebraici in Yeshua;
- sostenendoli nelle loro prove e difficoltà che devono fronteggiare come le occasionali persecuzioni delle istituzioni degli ebrei ortodossi o dello Stato di Israele;
- sfidare gli ebrei messianici a crescere in una fede più matura e invitarli ad abbandonare le dottrine non bibliche e non ebraiche del soggettivismo e del giudizio privato ereditato dal protestantesimo, che affliggono le loro comunità con compromessi dottrinali e confusione e che gli impediscono di ricevere la pienezza delle bendizioni che Yeshua intende dare loro;
- Invitando gli ebrei messianici a cercare e trovare la pienezza della verità che Yeshua ci ha dato, specialmente il suo dono di sé nell’Eucaristia, nella Chiesa Cattolica – senza riununciare alle buone cose della loro eredità ebraica, messianica ed evangelica;
- supportando i cattolici ebrei o gli ebrei cattolici e le loro comunità nel loro difficile tentativo di preservare la loro eredità ebraica mentre abbracciano la pienezza della verità della fede cattolica.
5) Benedire la Chiesa
Infine, essendo "per" Israele noi siamo anche "per" la Chiesa. Questo significa prima di tutto essere "per" la Chiesa Cattolica, la quale ha preservato la pienezza dei mezzi di salvezza affidati a lei da Yeshua. Ma significa anche essere "per" il Corpo universale dei Credenti che esiste al di sopra di tutti i confini denominazionali. Questa opera di "benedizione" della Chiesa include:
- insegnare e amare la pienezza della fede che Yeshua ha affidato alla Chiesa Cattolica;
- operare in piena comunione con la Chiesa Cattolica in continuità con la Sacra Tradizione, in sottomissione con il suo Magistero, al quale il Signore ha affidato il compito di interpretare autenticamente la Parola di Dio (Dei Verbum 9), e nell’ambito della cornice della sua missione universale di evangelizzazione;
- insegnare la fede cattolica in continuità con la sua eredità ebraica e come "innestata" nella radice di Israele, comprendendo che se la Chiesa rimane connessa alla sua radice, il benedire Israele (in tutti i modi di comprenderlo) porterà a sua volta una benedizione alla Chiesa;
- riconoscere con gratitudine e lode l’opera dello Spirito Santo nelle comunità ebriache messianiche e altre confessioni cristiane, imparando da loro e crescendo in comunione spirituale con loro, operando verso il giorno in cui saremo in grado di condividere insieme la comune tavola dell’Eucaristia;
- incoraggiare un umile spirito di pentimento tra i cattolici specialmente per i peccati del passato e del presente, commessi contro il popolo ebraico e contro altri cristiani.
Conclusione
Qui concludo la mia riflessione sulla natura di Israele, sulla benedizione che si intende per "per" e viene "da" esso, e sui modi secondo i quali io suggerisco che i cattolici debbano essere una benedizione "per" Israele. Le distinzioni di P. Carlo sui cinque modi di comprendere Israele sono stati molto utili per il nostro proposito di comprendere meglio Israele come una realtà nel Disegno di Dio della salvezza; spero di aver dimostrato ciò in accordo con le parole del Signore ad Abramo, riecheggiate da Balaam (Gn 12:2; Nm 24:9): vi è ancora una misura di benedizione divina su Israele che scaturisce dalla loro elezione e chiamata (nonostante questa benedizione non debba essere confusa con la pienezza della salvezza), e una benedizione che è promessa a coloro che benedicono e amano Israele – che sia il popolo o la nazione. Forse questa benedizione estesa dai cristiani a Israele e ritornante alla Chiesa, che potrà curare le ferite del passato e avvicinare il popolo ebraico alla salvezza, potrebbe essere vista come primizia della grande benedizione di cui parla San Paolo, che scaturisce dalla redenzione di Israele alla Chiesa universale e al mondo intero (Rm 11:15)?
Ti sono molto debitore, P. Carlo, per le tue misurate e astute osservazioni che hanno fatto scaturire questo studio. Spero di essere stato in grado di chiarire meglio alcuni punti sulla missione di Cattolici per Israele che richiedevano un approfondimento, e non ho dubbi sul fatto che questa riflessione farà sorgere nuove domande nella continuazione della nostra comune ricerca nel grande mistero di Israele e della Chiesa.
Ariel Ben Ami
Gerusalemme, 21 settembre 2011