Il difficile cammino verso l'unità tra ebrei e cristiani
Chiediamo al Padre lo spirito di sapienza e di rivelazione
(Questa parte, a cominciare dall’inizio fino alla citazione di Giacomo, non è stata letta, ma vissuta liberamente nel momento precedente di preghiera)
Vorrei cominciare con una preghiera rivolta al Padre. E’ la preghiera che l’apostolo Paolo rivolge al Padre, quando scrive agli Efesini: (Ef 1,16-19). Sentiamo questa preghiera di Paolo come rivolta per noi. Paolo chiede per noi il dono dello “spirito di sapienza e di rivelazione” per una più profonda conoscenza di Dio e della nostra vocazione cristiana, ciò che io chiamo “il dono della teologia spirituale”, in cui è lo Spirito, che penetra fin nelle profondità di Dio, a rivelarci le cose di Dio (1 Cor 2,10-13). E’ questo dono di “teologia spirituale”, che ci permette di entrare in una profonda conoscenza di Dio e della nostra vocazione cristiana. Illuminati negli occhi del nostro cuore dallo spirito di sapienza e di rivelazione siamo in grado di entrare negli straordinari domini della Sapienza del Padre, nei suoi Disegni nella storia circa la Chiesa e il mondo, quella Sapienza, che, secondo le parole di Gesù, il Padre della gloria rivela ai semplici, agli umili, ai piccoli e nasconde ai sapienti di questo mondo, che si inorgogliscono delle loro capacità di sapere e comprendere tutto (Lc 11,26). Essa, per usare una espressione di Paolo, è quella “Mi ricordo di voi nelle mie preghiere, affinché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui, illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi e qual è la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi che crediamo, secondo l’efficacia della sua forza e del suo vigore "sapienza di Dio, che non è di questo mondo, né dei dominatori di questo mondo, che vengono ridotti al nulla… sapienza, che è nel mistero, che è rimasta nascosta e che Dio ha stabilito prima dei secoli per la nostra gloria" (1 Cor 2,6-8).
Gli ambiti di questo dono di sapienza, chiamata “teologia spirituale”, sono molto vasti. Abbracciano, secondo le parole di Paolo, “le impenetrabili ricchezze di Cristo e l’attuazione del mistero nascosto nei secoli in Dio, creatore dell’universo” (Ef 3,8-12), che ora si attua nella Chiesa.
Stasera vogliamo chiedere al Padre lo spirito di sapienza e di rivelazione per penetrare con la sua sapienza nel complicatissimo rapporto esistente tra ebrei e cristiani, rapporto che è un classico rompicapo teologico nella Chiesa di oggi e che non può essere illuminato se non dallo spirito di sapienza che viene dall’alto. Perciò chiediamo questo spirito, chiediamolo con tutto il cuore, avendo fiducia nelle parole di Gesù: “Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto” (Mt 7,7). Chiediamolo senza dubitare che Dio ce lo possa concedere, tenendo presente quanto dice l’apostolo Giacomo nella sua Lettera: “Se qualcuno di voi è privo di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti con semplicità e senza condizioni, e gli sarà data. La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all’onda del mare, mossa e agitata dal vento. Un uomo così non pensi di ricevere qualcosa dal Signore; è un indeciso, instabile in tutte le sue azioni” (Gc 1, 5-7).
Breve auto-presentazione
Io sono un padre gesuita, vivo a Bari, dove sono Assistente spirituale della Comunità carismatica d’alleanza, chiamata “Comunità di Gesù”, fondata da Matteo Calisi, che ha come carisma e ministero proprio un forte impegno nell’ambito ecumenico. La Comunità di Gesù ha organizzato a Bari quattro Incontri di Dialogo tra Cattolici ed Ebrei Messianici, cominciando dal 2003, che hanno visto la presenza di alcuni Ebrei Messianici, provenienti da Israele e da altre parti del mondo. Fui fortemente emozionato quando per la prima volta ascoltai il Vangelo predicato con forza e convinzione da un ebreo messianico. Mi sembrava di avere avanti a me i primi apostoli, Pietro, Paolo, che possiamo considerare i primi ebrei messianici. Mi crollò quella convinzione, comune alla mentalità contemporanea, che identifica l’ebreo come colui che non crede in Gesù. Ascoltai diverse loro conferenze e mi resi conto della ricchezza e profondità teologica della loro fede in Gesù. In seguito lessi alcuni loro libri, tradotti in italiano dalla benemerita Casa Editrice Beth-lehem. Una notte mi sentii fortemente ispirato a comporre una preghiera per l’illuminazione d’Israele su Gesù come loro Messia. Dopo poco ebbi l’ispirazione di mettere per iscritto alcune riflessioni teologiche, che mi venivano in seguito alla conoscenza che avevo acquisito su di loro. Scrivevo sempre più finché mi accorsi che avevo scritto un libro, che attualmente è stato pubblicato dall’Editrice Fede e Cultura dal titolo, Gli Ebrei Messianici, un segno dei tempi. È un libro tutto dedicato non tanto a far conoscere il fenomeno degli Ebrei Messianici, ma a dialogare in modo teologico con la loro teologia. È un libro nuovo e originale con cui intendo promuovere il dialogo a livello teologico tra cattolici ed ebrei messianici, cosa attualmente inesistente, almeno in Italia.
Sui rapporti ebrei-cristiani lungo i secoli fino ad oggi
Dopo questa premessa, entriamo ora a parlare dei rapporti tra ebrei e cristiani, tra Sinagoga e Chiesa, che in questi ultimi tempi, a cominciare soprattutto dal Concilio Vaticano II, sono cambiati radicalmente rispetto a venti secoli di storia precedenti. Sono cambiati sia in seno al pensiero teologico, che presiede a questo rapporto, sia nei comportamenti reciproci. Lo scopo di questo mio intervento stasera è di additare in che cosa consiste questo cambiamento, ma soprattutto come in questo cambiamento e in alcuni eventi profetici in atto oggi nel mondo ebreo e cristiano si sta realizzando una tappa del Disegno del Padre celeste nella storia sempre più rivolta al giorno in cui Cristo ritornerà nella gloria per portare a compimento il Disegno del Padre sul mondo.
Sto parlando da profeta e come profeta vorrei che noi, quando pensiamo a questa storia di rapporti tra ebrei e cristiani, non mescolassimo eccessive preoccupazioni umane di tipo politico, diplomatico e anche ecclesiologico, perché ciò impedirebbe di vedere, come un occhio in cui sono penetrati dei moscerini e non può vedere bene, il semplicissimo e chiarissimo Disegno che il Padre vuole attuare in questi rapporti. Alla realizzazione di questi Disegni di Dio dobbiamo dedicarci con tutto il cuore, se veramente cerchiamo il Regno di Dio e la sua giustizia sopra ogni cosa. Attraverso questi rapporti passa infatti il Regno di Dio, soprattutto ai nostri giorni, che volgono per il futuro ad una testimonianza comune che ebrei e pagani, credenti nel Dio unico e nel suo Messia Gesù Cristo, devono dare al Regno di Dio che è venuto, viene e verrà. Per questo abbiamo invocato lo Spirito di sapienza e di rivelazione, che viene dal Padre, senza di cui tutto ciò che riguarda i rapporti tra ebrei e cristiani si risolverebbe in discorsi di sapienza umana, anche se rivestita di citazioni bibliche ed ecclesiastiche, prese da documenti della Chiesa.
Vediamo per prima cosa come si sono presentati i rapporti tra ebrei e cristiani nei XX secoli che abbiamo alle spalle fino al Concilio Vaticano II. Mi esprimo in forme molto sintetiche a ragione del poco tempo che ho a disposizione per parlare di temi, su cui si sono scritti libri e libri. Uso due termini, ormai diventati classici, per esprimere questi rapporti: “Anticristianesimo” per gli ebrei e Antigiudaismo per i cristiani. L’”Anticristianesimo” degli ebrei è cominciato col rifiuto di Cristo e si protrae fino ad oggi col rifiuto di tutto Israele di aderire a Gesù Messia. Questo rifiuto di Gesù Messia da parte degli ebrei è stato vissuto nei secoli passati in un mondo dominato religiosamente e civilmente dai cristiani, ed ha portato gli ebrei a vivere in una condizione di estrema umiliazione a causa dell’Antigiudaismo, con cui i cristiani rispondevano all’Anticristianesimo degli ebrei. Ne è nato un regime di rapporti molto tesi e conflittuali, che ha raggiunto in alcuni momenti storici picchi di odio reciproco molto evidenti e di opere ispirate a questo odio. L’”Anticristianesimo” degli ebrei non ha avuto pesanti conseguenze civili e religiose per i cristiani, perché gli ebrei erano in una condizione di inferiorità rispetto alla maggioranza cristiana, mentre l’Antigiudaismo dei cristiani, al governo delle nazioni, in mezzo a cui era disperso Israele, ha avuto pesanti conseguenze civili e religiose su di loro e per questo, nel Giubileo del 2000, come segno del cambiamento dei rapporti tra ebrei e cristiani ai nostri giorni, Giovanni Paolo II ha voluto che la Chiesa vivesse una giornata di pentimento e di ravvedimento per queste pesanti conseguenze civili e religiose sugli ebrei a causa dell’antigiudaismo dei cristiani nei secoli passati (per approfondire questo paragrafo e anche il seguente giova leggere il libro di Piero Stefani, Antigiudaismo, Ed. Laterza, 2004).
Distinguere l’Antigiudaismo dall’Antisemitismo
Nel parlare di Antigiudaismo dei cristiani è importante che noi lo distinguiamo dall’Antisemitismo, termine che oggi è più usato nel parlare dell’atteggiamento persecutorio degli ebrei lungo i secoli, che ha avuto nella Shoah la sua grande manifestazione tremendamente distruttiva. L’Antigiudaismo nasce in ambito cristiano ed ha a suo sostegno una teologia, “la teologia della sostituzione”, di cui vi parlerò fra breve. L’Antisemitismo nasce invece in ambito pagano e sostiene l’estrema pericolosità per tutto il genere umano della razza ebraica in quanto razza. Il passaggio alle camere a gas del Nazismo per eliminare del tutto la razza ebraica è breve. L’Antigiudaismo religioso, invece, apprezza molto l’esistenza della razza ebraica, perché strumento di Dio per la rivelazione di Dio e la salvezza dei popoli, ma combatte gli ebrei in quanto hanno rifiutato il Messia, mettendolo in croce, e lungo i secoli hanno perseverato nella loro chiusura a Cristo e ai cristiani.
Hitler in un primo tempo cercò di coinvolgere anche la Chiesa nel suo antisemitismo, facendo appello all’antigiudaismo dei secoli passati, che la Chiesa aveva dimostrato verso gli ebrei, ma l’antisemitismo di Hitler aveva tutt’altra radice ed era del tutto estranea all’antigiudaismo della Chiesa. Non si può negare comunque che la mentalità antigiudaica cristiana, ancora presente nella Chiesa al tempo di Hitler, rese lenta la reazione dei cristiani all’attuazione del diabolico piano di Hitler di distruzione degli ebrei e ne favorì la realizzazione.
Ora siamo entrati in un epoca in cui questo odio e combattimento reciproco sono diventati retaggio dei secoli passati e non appartengono più agli attuali rapporti tra ebrei e cristiani. Ciò a livello ufficiale, anche se la mentalità anticristiana, da parte degli ebrei, e antigiudaica da parte dei cristiani, è ancora molto presente a livello dell’inconscio spirituale di ebrei e cristiani.
Degli importanti cambiamenti storici hanno determinato queste nuove relazioni tra la Sinagoga e la Chiesa. Possiamo dire che il tremendo evento della Shoah, se da una parte è stata l’esplosione più alta dell’odio antisemita e antigiudaico, mischiati assieme, ha segnato anche la fine di questo odio, determinando l’avvento di tempi nuovi nel rapporto tra ebrei e nazioni, in modo particolare tra ebrei e cristiani. Poi l’avvento della civiltà democratica, improntata al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo, e la ricostruzione dello Stato d’Israele, abitato e governato dagli ebrei, ha ridato piena dignità civile e libertà democratica anche in campo religioso, agli ebrei, dopo venti secoli in cui gli ebrei sono vissuti lontano dalla loro patria in una situazione di gravi privazioni dei loro diritti civili e religiosi. Tutto ciò è segno della benedizione di Dio, che è tornata a risplendere su Israele, anche se offuscata dall’attuale situazione di conflitto con i palestinesi, ben nota a tutti.
Tutto questo però va pensato in termini teologici e non soltanto politici e umani, perché fa parte del Disegno che Dio, Regista e Signore della storia, vuole realizzare in questi ultimi tempi in vista del ri-innesto di tutto Israele nella salvezza del Messia di Israele, Gesù, il Figlio di Dio. Questo Disegno di Dio riguarda anche la Sua Chiesa, nata dal sacrificio di Cristo sulla croce, che tuttora soffre ed è deturpata da una grande ferita, la mancanza di una parte considerevole e maggioritaria di ebrei nel suo seno, ciò che san Paolo chiama “tutto Israele” (Rm 12,26).
Le ferite della Chiesa di Dio nel suo interno
Tutti sappiamo che la Chiesa di Dio soffre profonde ferite nel suo interno. Una di queste è la ferita nella sua santità e gli scandali dei preti pedofili dei nostri giorni vanno considerati come una gravissima ferita alla santità della Chiesa, che dovrebbe risplendere soprattutto nella santità dei suoi ministri.
Un’altra ferita è nell’unità della Chiesa, perché gli attuali credenti in Cristo, provenienti nella stragrande maggioranza dalle nazioni pagane, professano la loro fede in Cristo non uniti in una sola Chiesa, ma divisi in tanti regimi ecclesiastici e nei secoli passati si sono scomunicati a vicenda e combattuti con un odio molto simile a quello che c’era tra ebrei e cristiani.
Una terza ferita, meno nota, a cui ci siamo tanto abituati da non considerarla più una ferita, riguarda la mancanza di pienezza di membri che ha la Chiesa di Dio. Questa mancanza di pienezza di membri non è dovuta al rifiuto di camminare alla luce di Gesù Messia che anche le nazioni, soprattutto in questi ultimi secoli, hanno compiuto, ma all’assenza di tutto Israele come parte costitutiva essenziale della Chiesa di Dio, che nella sua natura originaria più profonda non viene dalla terra, ma dal cielo, in quanto manifestazione del Regno di Dio sulla terra ed è destinata a raccogliere nel suo seno ebrei e nazioni nella loro totalità. Per “totalità” non si intende una totalità numerica, ma che sia espressione di una maggioranza significativa. La “pienezza della Chiesa” coincide con ciò che san Paolo chiama la “pienezza di Cristo” (Ef 1, 23), manifestata dal fatto che i lontani (i gentili) e gli ebrei (i vicini), in Cristo possono scambiarsi l’abbraccio della riconciliazione e della pace e presentarsi al cospetto del Padre nello stesso Spirito, formando un solo uomo nuovo, Cristo Gesù in tutti (Ef 2,14-18).
Di fronte alle ferite e alle rughe della Chiesa non solo si preoccupano i veri pastori umani della Chiesa, ma soprattutto lo Spirito Santo, mandato dal Padre alla Chiesa con la missione di preparare la sposa, la Chiesa, all’incontro con lo sposo, Cristo e san Paolo ci rivela che Cristo ha versato il suo sangue per la Chiesa al fine di poterla presentare davanti a sé nel giorno del suo matrimonio con essa "tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata" (Ef 5, 27). Lo Spirito di Cristo, quindi, è incessantemente alla opera per togliere dalla Chiesa queste ferite, che la dissanguano e queste rughe di vecchiaia, che ne deturpano la bellezza divina, di cui deve risplendere. Attraverso il movimento ecumenico, nei suoi diversi ambiti di ecumenismo spirituale, dottrinale e pastorale, lo Spirito Santo sta portando la Chiesa dei Gentili a risplendere della nota divina dell’unità nella fede e nella carità di tutti i suoi figli. Ma lo Spirito sta soffiando nei tempi attuali per portare la Chiesa di Dio alla sua pienezza, facendo sì che tutto Israele sia ri-innestato nella sua santa radice, che è la fede di Abramo in Gesù Messia e Figlio di Dio.
A questo scopo è in atto nella Chiesa di oggi una profonda revisione, non solo nell’ambito dei comportamenti pastorali, ma in sede di pensiero teologico, del modo di considerare i rapporti esistenti tra ebrei e cristiani, tra Sinagoga e Chiesa. È su questo punto che vorrei ora parlarvi.
Su questo aspetto abbiamo un meraviglioso maestro in san Paolo, che nella Lettera ai Romani nei capitoli 9-10-11 manifesta la contemplazione divina che lui ebbe del Disegno di Dio a proposito del rifiuto del Messia Gesù da parte del suo popolo, dell’accoglienza del Vangelo da parte delle nazioni pagane e del ri-inserimento nella fede in Gesù Messia di tutto Israele alla fine dei tempi, prima del ritorno di Cristo.
La teologia della Sostituzione
I teologi cristiani, cominciando dai santi Padri fino ai nostri giorni, si sono sempre ispirati a queste pagine, ma a causa di contingenze storiche molto evidenti, hanno elaborato circa i rapporti ebrei-cristiani ciò che io chiamo “teologie storiche”, meno spirituali e maggiormente dettate dall’esigenza di interpretare gli eventi della storia della salvezza, così come si svolgeva lungo i secoli. La “teologia storica”, con cui la Chiesa fino al Concilio Vaticano II ha interpretato i rapporti ebrei-cristiani, Sinagoga-Chiesa, e si è regolata di conseguenza, si chiama “la teologia della sostituzione”. Essa si è imposta fin dall’epoca sub-apostolica e dei Padri ed è arrivata fino al secolo XX. Attualmente questa teologia è stata abbandonata, abbandono espresso ufficialmente dalla Chiesa nella “Nostra Aetate”, documento del Concilio Vaticano II e da una serie di interventi ufficiali degli ultimi pontefici, in varie occasioni ed in modo molto attento ed appropriato circa il modo nuovo in cui oggi la Chiesa considera la religione ebraica e gli stessi ebrei.
L’affermazione fondamentale della “teologia della sostituzione” è che Dio, a causa dell’incredulità della massa degli ebrei nei confronti di Gesù Messia, ha rotto ogni rapporto con Israele. Israele non sarebbe più “popolo di Dio”, ha perso l’elezione all’alleanza con Dio, fondato sulle Sue promesse, e il suo statuto di popolo di Dio è passato alla Chiesa di Cristo, che, essendo nella sua totalità formata da pagani, si manifestava come “Chiesa dei pagani”. Col tempo nella Chiesa si perdevano sempre più le caratteristiche della sua origine ebraica. L’unico segno dei questa origine era il permanere nella Chiesa dei pagani della fede nella rivelazione di Dio nell’Antico Testamento, che però veniva sempre più considerato come preparazione e prefigurazione del Nuovo Testamento e, quindi, avente validità in se stessa, senza la luce del Nuovo Testamento. Per il resto la “Chiesa dei pagani” del Nuovo Testamento sostituiva in toto il tempio e la sinagoga degli ebrei dell’Antico Testamento.
A conferma di questa teologia veniva interpretata la condizione di servitù e umiliazione, in cui gli ebrei vivevano nei territori a dominazione cristiana, segno questo della perdita della loro dignità di popolo di Dio. Tutte le benedizioni di Dio dell’Antico Testamento riguardanti il futuro del popolo di Dio si erano realizzate nella Chiesa dei gentili, mentre tutte le maledizioni promesse si stavano realizzando per Israele a causa della sua incredulità. Rimaneva sospesa sugli ebrei la profezia di Paolo circa il ri-inserimento degli ebrei nella fede in Cristo, ma questo evento veniva interpretato come un inserimento degli ebrei nella Chiesa dei gentili, diventato il nuovo e vero Israele, senza che questo inserimento cambiasse la natura nuova del popolo di Dio, fondata più sui Gentili che sugli Ebrei. In poche parole, la salvezza al mondo non veniva più dagli ebrei, ma dai gentili.
Non ho il tempo per dimostrare i limiti e le deformazioni di questa “teologia della sostituzione” e come essa sia ben coerente con l’Antigiudaismo della Chiesa nei secoli passati. Ora questa “teologia” è stata abbandonata e si sta sempre più elaborando un altro tipo di teologia, più rispettosa di quanto la Sacra Scrittura dice del Disegno di Dio circa la chiamata alla salvezza di Gesù Cristo di ebrei e gentili. Io chiamo questa teologia “teologia dell’innesto e del ri-innesto”, che un ebreo messianico di oggi, David Stern, chiama “teologia dello albero dell’olivo” (David H. Stern, Ristabilire l’ebraicità del Vangelo, Ed. Beth-lehem, pag. 27).
La “teologia dell’innesto e del ri-innesto” si rifà al testo di Paolo nella Lettera di Romani, in cui l’apostolo considera la Chiesa dei gentili non come un popolo di Dio del tutto nuovo rispetto a Israele incredulo, destinato a sostituirlo e a destituirlo di ogni elezione divina, ma come un popolo innestato sulla radice tutta santa di Israele, su cui permane l’elezione di Dio ad essere popolo di Dio, anche se, per la loro incredulità, una considerevole parte di ebrei, i rami, è stata recisa dalla propria radice. Anche se li ha recisi, Dio ha però in cuore di ri-innestare, negli ultimi tempi, “tutto Israele” nella sua radice naturale e questo avverrà quando tutto Israele aderirà in massa a Gesù Messia (Rm 11,16-24). La Comunità Messianica è il significativo inizio di questo radunarsi di “tutto Israele intorno al Messia.
Alla luce di questa visione rivelata l’unico popolo di Dio, unico come è unico il suo Dio, rimane formato da tre parti: come prima parte c’è una radice santa, costituita dalla fede di Abramo nel Messia di Dio, Gesù Cristo, e quindi da Gesù e dai suoi apostoli; la seconda parte è costituita dai credenti in questa fede, provenienti in massima parte dalle nazioni pagane, mentre da queste radici Dio tagliava i rami naturali, gli ebrei increduli, che costituivano però la parte più numerosa di Israele come popolo; la terza parte, la Chiesa di Dio comprende anche nel suo seno l’Israele incredulo, che non ha perso, a causa della sua incredulità, il titolo di essere “popolo di Dio” e fa parte della Chiesa di Dio, anche se in essa ricopre il ruolo del figliol prodigo della parabola, che se ne è voluto andare a vivere lontano dalla volontà del Padre. Rimane comunque figlio del padre, che attende con impazienza l’ora di poterlo riabbracciare. In virtù di questa elezione e della misericordia, che Dio ha in serbo per Israele, Israele è destinato ad essere ri-innestato nella radice santa, a lui connaturale, della fede di Abramo in Gesù Messia, negli ultimi tempi che preludono al ritorno di Cristo nella gloria.
(Considerazione di chiarimento, che ho appena accennato durante l’intervento, ma che ora ritengo opportuno fare più diffusamente perché, a mio parere, è un punto importante per intendere una visione più esatta del rapporto esistente tra Israele ancora incredulo e Chiesa da un punto di vista teologico.
A questo scopo, dobbiamo avere chiare due verità fondamentali. La prima è questa: è un assurdo teologico che possano esistere “due popoli di Dio”, uno basato sul riconoscimento di Gesù e l’altro sul rifiuto. Riconoscere Israele come popolo di Dio, con cui Dio non ha mai rotto l’alleanza, che gode la piena dignità di popolo di Dio come ne gode la Chiesa, pone il problema teologico di come possano esistere in contemporanea due popoli di Dio, che si differenziano alla radice, cioè nella fede in Gesù Messia. O è un popolo di Dio l’uno o lo è l’altro. La teologia della sostituzione ha risolto questo dilemma, dicendo che solo la Chiesa è popolo di Dio e non più Israele. Dal versante opposto Israele incredulo non ha ritenuto la Chiesa essere vero popolo di Dio, non riconoscendo Gesù come Messia.
Oggi che la Chiesa dice che anche Israele è popolo di Dio, ritorna prepotente la domanda: come mai possano esistere due popoli di Dio, che si differenziano alla radice, mentre la Scrittura parla sempre di un solo popolo di Dio? Una risposta che si tende a dare oggi è questa: il popolo di Dio è unico, perché la sua radice santa è unica per ebrei, anche increduli nei confronti di Gesù, e per cristiani. Questa radice è costituita dalla vocazione di Abramo. Lungo la strada, però, allo svincolo del Messia, il popolo di Dio si è diviso in due: l’Israele incredulo e la Chiesa dei credenti in Gesù. È una grave ferita all’unità del popolo di Dio, che Dio tollera solo in virtù di suoi piani storici riguardanti la salvezza delle nazioni. Questa risposta è vera, ma deve essere chiarito, a mio parere, quale volto di popolo di Dio Israele incredulo conserva finché non aderisce al Messia Gesù. La risposta che io do è la seguente: ha il volto del popolo di Dio non rigettato, non maledetto, ma “tagliato” dalle sue radici sante, che vive nelle sue istituzioni religiose attuali la sua realtà di essere vero popolo di Dio, pur stando nell’incredulità davanti al Messia in attesa che Dio nella sua misericordia lo ri-innesti alla sua radice.
Una seconda verità teologica può aiutare a comprendere meglio questa situazione. La Chiesa come popolo di Dio non è definita primariamente in modo sociologico in quanto costituita da ebrei o da gentili o da gentili ed ebrei uniti assieme nella fede di Cristo. La Chiesa non è una realtà che primariamente viene dalla terra, ma dal cielo, è quella Gerusalemme celeste, che Giovanni vide in visione nell’Apocalisse, che scende dal cielo, a cui accorrono le nazioni della terra, destinata ad accogliere nel suo seno “tutto Israele” e “tutte le nazioni”. Il kairòs di Dio, in cui sulla terra si è manifestata la Gerusalemme celeste come Chiesa di Dio in mezzo alle nazioni, è costituito dalla Pentecoste di Gerusalemme, in cui lo Spirito Santo è sceso sul monte Sion, dove gli apostoli di Cristo erano radunati nel cenacolo, ed ha fatto del monte Sion “la madre dei popoli della terra”, chiamati alla salvezza messianica. Il monte Sion in quel momento si è manifestato come la Chiesa di Dio e di Gesù, suo Messia, per tutte le nazioni della terra, prima per la totalità degli ebrei, poi per la totalità delle nazioni. Questa Chiesa cominciò a manifestarsi storicamente in terra con la chiamata di Abramo e le promesse di benedizioni a tutte le genti data da Dio al patriarca, ma si è impiantata sulla terra nella Pentecoste degli apostoli a Gerusalemme. In virtù della sua nascita da Abramo Israele ha cominciato a farne parte fin da quel momento, in attesa che dal suo seno venisse il Messia e ricevesse mediante la salvezza del Messia, esso per prima, il “definitivo radicamento” nella sua radice, ciò che non è potuto avvenire a causa dell’incredulità. Invece del “definitivo radicamento” ha avuto il “taglio” dalle sue radici antiche, senza per questo perdere la sua elezione a popolo di Dio chiamato alla salvezza. Si trova a far parte di questa Chiesa di Dio, manifestata a Pentecoste, come il figliol prodigo della parabola del Vangelo, dimorante in un luogo spirituale lontano dalla casa del Padre, che è la Sua Chiesa, perché si è allontanata da essa per suo volere, non credendo al Messia. Su Israele risplende la promessa della grande misericordia che Dio riverserà su tutto Israele incredulo, ri-innestandolo alle sue radici mediante l’illuminazione sul Messia. Allora risplenderà la pienezza della sua chiamata di essere popolo di Dio fin dalle origini della sua storia).
Una prima visione nuova scaturente dalla teologia dell’innesto e del ri-innesto
È importante comprendere bene la differenza esistente tra la “teologia della sostituzione” e la “teologia dell’innesto e del ri-innesto”, con cui si può giudicare il rapporto esistente tra ebrei e cristiani, provenienti dai Gentili.
La “teologia della sostituzione” è entrata nella Chiesa come il cuore teologico dell’Antigiudaismo, che non è solo un atteggiamento pratico, ma è supportato da una mentalità teologica. Abbandonare questa mentalità teologica vuol dire privarsi delle motivazioni principali che spingono all’antigiudaismo. La teologia dell’innesto e del ri-innesto, invece, compresa a fondo, sviluppa interessantissime visioni teologiche e pastorali, del tutto nuove, rispetto a quanto poteva venir fuori dalla “teologia della sostituzione”. Ne accenno solo a due.
La prima e più esaltante visione è quella che ci fa contemplare la misericordia di Dio, che noi oggi chiamiamo “La Divina Misericordia”, come la sorgente buonissima, bellissima e splendentissima di tutto il movimento dello Spirito che porta sia all’innesto dei pagani nella radice santa della fede di Abramo sia al ri-innesto dei rami naturali, che sono “tutto Israele”. San Paolo nelle sue Lettere dichiara spesso che tutto l’agire salvifico di Dio nei confronti dell’umanità, tutta rinchiusa nel peccato, è manifestazione del suo immenso amore per gli uomini, che siamo salvi per la sua grande misericordia, là dove per natura eravamo piuttosto meritevoli di ira e di castigo. Questa visione della misericordia di Dio, che si effonde su tutto il genere umano, è particolarmente presente in Paolo quando parla dei rapporti di Dio verso i pagani e gli ebrei. Leggo il testo, ma mentre lo leggo, ascoltiamolo più col cuore che con la mente, per intendere i fortissimi effluvi della misericordia di Dio che si effondono da questo testo: “Come voi (pagani) un tempo siete stati disobbedienti a Dio e ora avete ottenuto misericordia a motivo della loro disobbedienza, così anch’essi ora sono diventati disobbedienti a motivo della misericordia da voi ricevuta, perché anch’essi ottengano misericordia. Dio ha racchiuso tutti nella disobbedienza per essere misericordioso verso tutti” (Rm 11,30-32).
In questo densissimo testo per ben quattro volte Paolo parla della Divina Misericordia che risplende davanti alla Umana disobbedienza, che nomina anche per ben quattro volte. Ne risulta che pagani ed ebrei sono entrambi beneficiari della Divina Misericordia, anche se in tempi diversi, perché entrambi disobbedienti a Dio. Dovremmo ora versare lacrime di intensa commozione davanti a questa misericordia di Dio, che viene a salvarci, unica e sovrabbondante per tutti. I pagani, che per primi hanno sperimentato la misericordia di Dio verso la loro disobbedienza, consapevoli di questo, dovrebbero essere per primi pronti a manifestare questa misericordia verso gli ebrei disobbedienti al Vangelo, come segno che Dio riserva anche agli ebrei, nonostante la loro disobbedienza, tempi di misericordia ancora trattenuti. A questo proposito voglio citare un testo molto bello di un ebreo messianico, David Stern, a proposito della manifestazione della misericordia che i cristiani, provenienti dalla Gentilità, devono manifestare nei confronti degli ebrei ancora increduli: “Sarà questa misericordia che Dio ha dato loro che i Gentili porteranno – come dei canali – agli Ebrei. Sha’ul (Paolo) però non sta chiedendo di stare a guardare passivamente il modo in cui Dio mostrerà la sua misericordia agli Ebrei. Piuttosto, sta implorando i cristiani gentili di mostrare misericordia agli Ebrei proprio adesso e attivamente. Dio chiede una partecipazione attiva nel suo piano di salvezza. Questa è l’unica cosa che può sciogliere i cuori e rendere gli Ebrei non salvati gelosi dei cristiani. Niente altro potrà farlo! È un male che così pochi abbiano cercato di farlo!” (David H. Stern, op.cit., pag. 84)
Sulle nazioni, che hanno conosciuto il Vangelo nei secoli passati, è più che mai attuale il monito che Paolo rivolge loro di non insuperbirsi perché a loro è stata usata misericordia da Dio, sono stati innestati sulla radice abramitica, mentre Dio, per far loro posto, ha tagliato i rami naturali di Abramo, increduli davanti al Vangelo. Paolo ammonisce che anche per le nazioni è riservata la severità di Dio, se non persevereranno nell’amore al Vangelo. Purtroppo la superbia dei gentili nel corso dei secoli davanti al Vangelo e nei confronti degli ebrei si è manifestata nelle forme macroscopiche dell’antigiudaismo e nell’antisemitismo, accompagnata dal fenomeno della grande apostasia dalla fede perpetrata in nome dell’Ateismo più radicale e nemico della fede.
Attualmente il mondo delle nazioni pagane ha ben poco da rallegrarsi di aver abbracciato la fede all’inizio, mentre i giudei sono stati esclusi. Ha piuttosto peccato grandemente davanti a Dio e ha sperimentato la Sua severità come un tempo gli ebrei increduli. Noi, nazioni gentili, abbiamo bisogno di grande Misericordia al pari degli ebrei ancora increduli davanti al Vangelo, se vogliamo ancora sussistere e non essere esclusi dalla salvezza del Vangelo, pur gloriandoci delle radici cristiane dell’Europa. È questo un tema molto importante che non svolgo ulteriormente, per dare spazio ad un’altra visione altrettanto importante che scaturisce della “teologia dell’innesto e del ri-innesto”.
(A questo punto ho espresso a viva voce una mia opinione teologica di tipo profetico. A mio parere con l’evento dell’ultima guerra mondiale e dello Shoah si è manifestata sulla terra quella parte del Disegno di Dio nella storia, che si chiama “la fine del tempo delle nazioni” e “l’inizio del tempo di Israele”. Le nazioni hanno manifestato al massimo la loro iniquità con la “grande apostasia” dalla fede nel Messia di Dio e l’antisemitismo nazista. Per questo Dio ha decretato “la fine del tempo delle nazioni” e ha dato inizio al “tempo d’Israele” con la ricostruzione dello Stato d’Israele e l’inizio dell’illuminazione degli ebrei su Gesù Messia, che porterà tutto Israele ad aderire al Messia secondo la profezia di Paolo. Nelle nazioni, invece, dopo la seconda guerra mondiale, continua a manifestarsi il mistero d’iniquità col Comunismo ateo e la rivoluzione culturale del ’68, che porterà avanti a passi galoppanti la scristianizzazione e la secolarizzazione delle nazioni, un tempo a regime spirituale cristiano. Attualmente in Italia circoli atei, come l’UAAR, portano avanti con un certo successo la pratica dello “sbattezzo”, mentre nel mondo ebreo sempre più ebrei accorrono a ricevere “il battesimo di Gesù Cristo”. Anche questo è un segno dei tempi! Queste riflessioni fanno parte di una visione profetica della storia alla luce della Sacra Scrittura, e vanno giudicate in sede profetica, da altri profeti, e non da storici e teologi, che non giudicano la storia in chiave profetica, ma semplicemente umana).
Una seconda visione scaturente dalla teologia dell’innesto e del ri-innesto
Questa seconda visione riguarda la testimonianza al Nome di Dio rivelato, che ebrei e cristiani sono chiamati a dare oggi in mezzo ad un mondo dominato dal relativismo religioso e da processi di ateizzazione e secolarizzazione sempre più radicali. L’innesto delle Genti, diventate cristiane, sulla radice santa della fede di Abramo in Gesù Messia, ha fatto risplendere sulle nazioni il nome di Dio come Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, non il Dio dei filosofi greci e o le divinità dei miti religiosi dei pagani. Possiamo dire che questo Dio, l’unico e vero Dio esistente e fuori di lui non ci sono altri che portino il nome di Dio, ha un volto ebreo, così come è ebreo Gesù, è ebrea Maria, sono ebrei i primi apostoli di Gesù. Il Dio, che con la fede in Cristo è diventato il Dio delle nazioni con la conversione delle nazioni a Cristo, è il Dio degli ebrei. Questo è incontestabile, al punto che per la Chiesa dei Gentili, che ha venti secoli di storia alle spalle, è essenziale conservare la fede nella rivelazione di Dio nell’Antico Testamento, altrimenti non saprebbe quale Dio invocare o a quale Dio attribuire la salvezza degli uomini o a chi dare il culto di adorazione e di ringraziamento.
Il rifiuto di Gesù Messia da parte di Israele ha comportato nei confronti della ricezione del Nome di Dio da parte delle nazioni pagane, delle conseguenze negative, che si manifestano soprattutto ai nostri giorni. La Chiesa dei Gentili si è trovata da sola a portare avanti lungo i secoli, davanti alle nazioni, la testimonianza al Nome rivelato da Dio senza l’aiuto che alla Chiesa dei Gentili sarebbe venuto dal profondissimo amore e altissima teologia che gli ebrei hanno sempre avuto verso il Nome rivelato di Dio, che per primi ad essi si è manifestato. Potremmo dire che gli Ebrei sono i professori per noi Gentili in questo campo, sono veramente i nostri fratelli maggiori.
Nei primi secoli in cui il Vangelo, come il primo cavaliere dell’Apocalisse, riportava continue vittorie in mezzo alle nazioni, la Chiesa non risentì della mancata presenza della testimonianza ebraica al Santissimo Nome di Dio rivelato. Ma venne la prima crisi, determinata dal sorgere dell’Islamismo, in cui un nuovo Nome di Dio si contrapponeva a quello innalzato dai cristiani. Maometto non attentava soltanto al Dio dei cristiani, ma al Dio degli ebrei increduli davanti al Vangelo. Ebrei e cristiani avrebbero dovuto assieme portare la testimonianza al vero Nome di Dio rivelato, ma questo non avvenne a causa dell’incredulità degli ebrei nei confronti di Gesù Messia.
(A questo punto ho detto a viva voce un concetto nuovo. Per far intendere meglio questa questione, ho detto che sul tema dell’adorazione di Dio la differenza che c’è tra cristiani, ebrei e musulmani a volte viene espressa erroneamente in questo modo: i musulmani adorano Allah, gli ebrei YHWH (Adonai) e i cristiani Gesù. Questo è vero per musulmani ed ebrei, ma non per i cristiani. Noi cristiani, anche se adoriamo Gesù perché è Figlio di Dio e riconosciamo la Sua divinità, riserviamo l’adorazione primaria al Padre di Gesù, al YHWH degli ebrei, che è il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che è poi il Dio di Gesù Cristo e dei cristiani. In altre parole, adoriamo come Dio la SS. Trinità oppure il Padre per mezzo di Gesù Cristo nello Spirito Santo, come fa la Liturgia della Chiesa nella Santa Messa. I cattolici col fatto che nella pietà soprattutto popolare si rivolgono prevalentemente nella preghiera a Gesù e a Maria e poco al Padre, danno l’impressione di adorare principalmente Gesù e poco si preoccupano di adorare, ringraziare, benedire e invocare il Padre, a cui spetta il primato negli articoli di fede e nell’adorazione. Agli occhi dei protestanti, poi, danno addirittura l’impressione di “adorare” Maria a causa dell’abbondante ruolo che ha l’invocazione di Maria nel loro culto. Ciò pone un problema pastorale più che teologico, di educare i cattolici ad un rapporto più diretto col Padre, secondo tutto ciò che dicono gli scritti del Nuovo Testamento, la grande Tradizione dei Padri e la Liturgia della Chiesa).
Ai nostri giorni sappiamo bene come nella cultura contemporanea c’è un pauroso vuoto nella conoscenza di Dio, determinato dall’invasione della mentalità atea a cominciare soprattutto dall’Ottocento in poi. Con l’avvento della mentalità scientista, illuministica, materialistica di diverso genere nell’epoca contemporanea, la Chiesa dei Gentili si è trovata sempre più debole e incapace di portare la testimonianza dal Nome rivelato di Dio, Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, come unico Dio dell’universo e delle nazioni. Queste, sedotte dal grande ingannatore delle nazioni, Satana, compivano nei confronti di Dio ciò che san Paolo chiama “la grande apostasia” (2 Ts 2,3), prodotta dall’azione nel mondo dell’ateismo di uomini iniqui, che si innalzavano sopra ogni realtà che portava in qualche modo il nome di Dio.
In questo clima di distacco sempre più profondo dal Nome di Dio rivelato, il Dio vivo e vero dell’universo, che dà la vita a tutti, ha perso sempre più nel pensiero occidentale ogni riferimento alla sua prima rivelazione agli ebrei fino a diventare il Grande Architetto del pensiero massonico, il Dio naturale dei Deisti, il grande Non-Esistente, ma il continuamente combattuto dal pensiero e dall’azione dell’ateismo contemporaneo. Oggi, in questo tempo di dominio del pensiero secolare, la questione dell’esistenza di Dio è al centro dell’attuale dibattito tra scienza e fede. Ma in questo versante poco interessa che l’eventuale Dio, di cui anche la scienza darebbe testimonianza, sia proprio il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Nel versante più strettamente religioso, siamo nell’epoca del relativismo religioso, dove ogni religione rivendica i suoi titoli ad esistere. In questo clima il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe fa molta fatica ad affermarsi come l’unico che esista veramente come Dio e farsi riconoscere come tale. Eppure la Chiesa di Dio ogni giorno nella sua Liturgia invoca e adora il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe sotto il nome di Padre nostro che è nei cieli, e confessa che fuori di Lui non c’è altro Dio. Ma in questa confessione si trova sola davanti ad un mondo secolarizzato sempre più incredulo, tentata di mettere il Dio della Chiesa sullo stesso piano di altre divinità credute dagli uomini.
A mio parere, la Chiesa ai nostri giorni ha disperato bisogno della testimonianza al Nome di Dio rivelato da parte gli ebrei, popolo che possiamo chiamare con un titolo molto bello: “Il popolo del Nome”, perché questo popolo e soltanto questo popolo ha avuto la missione di portare al mondo il Nome ineffabile dell’Eterno Dio, benedetto sia il suo Santissimo Nome per i secoli dei secoli. Amen. Noi, cristiani, provenienti dalla Gentilità, siamo stati innestati su questa loro missione, ma abbiamo bisogno di essere supportati dalla loro energia e fede nel Nome santissimo di Dio, cosa che avverrà quando gli ebrei nella loro maggioranza saranno ri-innestati nella loro radice santa mediante la fede in Gesù Messia, figlio di Abramo, figlio di Dio. Allora, ben uniti e aiutandoci con i doni dello Spirito, che Dio ci darà per dargli testimonianza, daremo una efficace testimonianza al Dio Vivente e alla sua prossima venuta nel mondo col ritorno di Gesù Cristo nella gloria. Allora la nostra comune testimonianza sarà veramente una speranza per il mondo e darà vita a manifestazioni nuove e originali di Dio in mezzo all’umanità, riconciliata nel Suo Nome e non per accordi politici.
Una visione dell’ebrea messianica, Julia Blum
Vorrei terminare queste riflessioni che si prestano a grandi sviluppi sia nell’ambito della teologia che nella pastorale concreta con una visione di teologia spirituale che un ebrea messianica di oggi, Julia Blum, ci offre.
Ho ascoltato personalmente Julia Blum e ho letto il suo bellissimo libro, “Se sei Figlio di Dio, scendi sulla croce”, dove ella espone a profusione la sua visione contemplativa, che considero un vero e proprio dono dello Spirito per i tempi di oggi. Julia, aiutata dallo Spirito, è penetrata nel cuore del Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, che per noi cristiani si presenta sotto la forma del “Cuore di Gesù”, ed ha saputo cogliere tutti i fremiti dell’amore per Israele da parte di Dio, che, nonostante la severità mostrata nei suoi confronti lungo i secoli, conserva un cuore gonfio di amore e di misericordia a suo riguardo. Julia Blum esamina con grande accuratezza la figura di Abramo, quando dovette indurire il proprio cuore per sacrificare a Dio il figlio Isacco, e, soprattutto la figura di Giuseppe l’Ebreo, che dovette indurire il proprio cuore davanti ai fratelli e li tormentava per indurli a riconoscere il loro peccato, ma dentro di sé fremeva di amore per loro e dal desiderio di farsi riconoscere e di riabbracciarli. A Julia Dio ha rivelato in modo personale ed intimo quanto ami il suo popolo e come è prossimo a riversare su di lui la sua grande misericordia, riabbracciandolo nell’amore del Messia, finalmente ad esso rivelato.
Il fatto che Julia Blum abbia avuto questa contemplazione ai nostri giorni è collegato a tutto il movimento dello Spirito attualmente in atto sia nel mondo cristiano con il rigetto dell’antigiudaismo da parte della Chiesa e sia nel mondo ebreo con un numero sempre più consistente di ebrei che ritornano all’abbraccio del loro fratello maggiore, Gesù di Nazareth, riconosciuto come loro Messia. Questo movimento ha assunto il nome del “Movimento ebreo-messianico”, dovuto all’effusione dello spirito di profezia, che rende testimonianza a Gesù, in mezzo agli ebrei in questi ultimi decenni. La Chiesa, che ha deposto l’antigiudaismo e manifesta sempre più stima e affezione verso gli ebrei, è ben rappresentata da Giuseppe, simbolo del vero capo della Chiesa, che non è il papa di turno, suo vicario, ma Cristo in persona, nel momento in cui Giuseppe depone il suo sdegno e desidera ardentemente farsi riconoscere dai suoi fratelli. Da parte di Israele sta avvenendo sempre più velocemente e in modo come mai prima si è visto nella storia, per opera di Dio e non per forzatura della Chiesa dominante, l’accoglienza di Gesù come Messia, anche se questo processo è ancora marginale nell’esistenza di tutto Israele.
Siamo veramente entrati in una fase nuova della storia della Chiesa e dell’attuazione del Disegno di Dio nel tempo. Tutto questo richiede che dobbiamo intensificare la nostra preghiera e sono molto contento di quanto sta avvenendo in questa comunità, con questo tempo di preghiera dedicato all’Illuminazione d’Israele. Ma non basta. È importante che trasformiamo la nostra mentalità per essere in grado di comprendere i Disegni di Dio nell’ora attuale e poter collaborare intensamente alla loro realizzazione. In tal modo non solo attendiamo nel modo giusto, vivendo come servi zelanti, ma anche affrettiamo il tempo del ritorno di Gesù nella gloria, a cui vada ogni onore e gloria nei secoli. Amen.
P. Carlo Colonna s.j.