Questo articolo è stato originariamente pubblicato su The Gospel Coalition.

Sommario: Gerald McDermott esamina il supersessionismo nella teologia cristiana, il concetto secondo il quale le promesse fatte al popolo ebraico presenti nell’Antico Testamento, tra cui quella di una terra, siano state superate dalla Chiesa cristiana. Ritiene che questa visione abbia prevalso nelll'interpretazione cristiana a partire dal IV secolo, causando dunque l'esclusione dei riferimenti a tale promessa presenti nel Nuovo Testamento. McDermott fornisce nel Nuovo Testamento, prove che confutano il supersessionismo, e sostiene che riconoscere la rilevanza della promessa di una terra, ancora in corso ai nostri giorni, sia di vitale importanza per comprendere l'affidabilità di Dio e il compimento delle sue promesse.


La terra promessa ad Abramo e ai suoi discendenti è presente anche nel Nuovo Testamento? Ha importanza?

A partire dal IV secolo per la maggior parte dei cristiani e degli ebrei, la risposta era negativa in entrambi i casi. Nessuno tra i maggiori interpreti ha trovato nel Nuovo Testamento una promessa di quel tipo, e non sarebbe comunque rilevante. Ciò che definiva la dottrina nei confronti del popolo e della terra d’Israele era l'interpretazione della tradizione dei testi biblici, non i testi stessi.

La tradizione aveva sviluppato un modo di interpretare il Nuovo Testamento chiamato "supersessionismo", concetto secondo cui, nel piano di Dio, il popolo ebraico sia stato soppiantato dal nuovo popolo (sia ebrei che gentili) costituito dalla Chiesa cristiana.

Un’implicazione di questa teologia riguarda le promesse di Dio rispetto alla terra d’Israele. Il ragionamento è questo: prima del primo secolo, Dio aveva stabilito il suo regno sulla terra d’Israele - quella piccola striscia sul confine orientale del Mediterraneo delle dimensioni della Puglia - ma in seguito all’ascensione di Gesù dalla cima del Monte degli Ulivi, l'attenzione di Dio fu deviata da quella piccola terra verso il mondo intero. Come disse Gesù in una delle sue Beatitudini: "Beati i miti, perché avranno in eredità la terra" (Matteo 5:5).

Spiegherò quindi la logica del supersessionismo a proposito della terra. Secondo i supersessionisti cristiani, cioè la maggior parte degli interpreti cristiani dal IV secolo, Gesù ha universalizzato il particolare, passando dalla promessa di una terra a favore degli ebrei nell'Antico Testamento (il particolare) alla promessa del mondo intero per tutti i suoi seguaci (l'universale).

Dopo essere diventato un accanito lettore del Nuovo Testamento greco (avevo all’incirca vent’anni all’epoca), questa logica è stata quella più sensata anche per me per diversi decenni. Gli studiosi di Gesù del Nuovo Testamento ritenevano che la promessa di una terra non fosse presente in questa parte della Bibbia. Esperti di S.Paolo, poi, hanno scritto che Paolo abbandonò l'Ebraismo del Secondo Tempio e consideravano ormai superata la promessa di una terra, dato che Gesù era venuto per essere il Messia del mondo intero.

Ma un giorno, ormai decenni fa, mi sono reso conto che c’era stato come un velo che mi aveva impedito di vedere e di notare le prove di questa promessa presenti nel Nuovo Testamento, quand’erano proprio davanti ai miei occhi! Come avevo potuto essere così cieco?

Vedere la promessa della terra

Quando frequentavo l'Università di Chicago, ho letto La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1961) di Thomas Kuhn, che dimostrava come agli albori di ogni rivoluzione scientifica (pensate a Galileo, Newton, Einstein) gli scienziati più eminenti avessero già prove sulla nuova teoria. Ma non potevano vederle perché il paradigma scientifico in vigore impediva loro di farlo.

Mi sono dunque accorto che la stessa cosa potrebbe essere successa anche a biblisti e teologi per secoli: non erano semplicemente in grado di notare che c’era anche nel Nuovo Testamento, perché erano stati formati a non vederla.

Per esempio, per quattro volte nel Nuovo Testamento, Gerusalemme è chiamata la "città santa." Il Diavolo condusse Gesù nella "città santa" per sfidarlo a buttarsi dalla cima del tempio (Matteo 4:5). Dopo la morte di Gesù, molti corpi di santi resuscitarono e camminarono intorno "alla città santa" e apparvero a molti (27:53). I gentili calpesteranno "la città santa" per 42 mesi (Apocalisse 11:2), e Dio farà scendere dal cielo "la città santa di Gerusalemme" (21:10).

Inoltre, per tre volte il Nuovo Testamento fa un esplicito riferimento alla promessa di una terra. L'autore di Ebrei dice che Dio condusse Abramo in un luogo che poi avrebbe ricevuto in eredità e che Isacco e Giacobbe erano "eredi con lui della stessa promessa" (11:9). Prima del suo martirio, Stefano disse che Dio promise ad Abramo questa terra "in possesso a lui e alla sua discendenza dopo di lui" (Atti 7:4-5). Paolo spiegò nella sinagoga di Antiochia di Pisidia che il Dio di questo popolo d’Israele scelse i nostri padri, e "poi distrusse sette nazioni nel paese di Canaan e distribuì ad essi in eredità il loro paese" (13:17-19).

Ci si potrebbe chiedere perché ci siano solo queste tre menzioni esplicite sulla promessa di una terra. Esistono due possibili risposte. In primo luogo, questa promessa è stata data per scontata perché per gli autori del Nuovo Testamento, la loro Bibbia (il Tanakh) l’ha già ripetuta un migliaio di volte (le ho contate e ho disposto in una tabella questi riferimenti in The New Christian Zionism e Israel Matters). Inoltre, gli autori del Nuovo Testamento vivevano in quella terra, nota come la Giudea, la terra degli ebrei, quindi non sembrava necessario ripetere o difendere quella promessa.

Gesù e la promessa della terra

Gesù ha fatto molte volte riferimento al futuro della terra d'Israele. Vi faccio cinque esempi. Negli Atti, i discepoli chiesero al Messia risorto se avrebbe "ristabilito il regno d’Israele" (Atti 1:6). Gesù non ignorò la domanda perché la ritenesse sciocca o non spirituale (come spesso sostenuto dagli studiosi) ma rispose che il Padre aveva già stabilito tempi e stagioni per farlo, e non era loro dato saperlo. Isaac Oliver, uno studioso ebreo del Nuovo Testamento, nel suo Luke's Jewish Eschatology sostiene che Gesù aveva in mente un regno terreno, seppur escatologico.

In Luca 13, Gesù dice che un giorno gli abitanti di Gerusalemme lo accoglieranno (v. 35), e nel capitolo 21 profetizza che Gerusalemme sarà calpestata dai gentili fino a che i loro tempi non fossero compiuti (v. 24).

La fine dei tempi dei gentili significa l'inizio della sovranità ebraica su Gerusalemme. Questo vuol dire che Gesù predisse un tempo in cui gli ebrei avrebbero avuto il controllo politico sulla loro capitale. Non sarebbe troppo lontano dalla realtà dire che l'inizio della sovranità ebraica su Gerusalemme - nel 1967, quasi 2.000 anni dopo che gli ebrei l’avevano persa nel 63 a.C. contro Pompeo - potrebbe essere visto come il compimento della profezia di Gesù del Nuovo Testamento.

Questo non vuol dire che lo Stato ebraico sia un adempimento diretto della profezia. O che l'attuale Stato ebraico non sia criticabile. O che questo sia l'ultimo Stato ebraico prima dell'eschaton.

Ma non è assurdo dire che, sulla base di questa straordinaria profezia di Gesù, il recupero della sovranità da parte degli ebrei sulla sua capitale dopo due millenni potrebbe essere un "segno dei tempi", come quelli che alcuni leader giudei dell’epoca non avevano riconosciuto, per questo motivo, rimproverati da Gesù (Matteo 16:3).

Come sappiamo da Matteo, Gesù afferma che nella palingenesi, o rinnovamento di tutte le cose, i suoi apostoli avrebbero governato le 12 tribù d’Israele, richiamando non solo la terra d’Israele, ma anche la ricostituzione delle 10 tribù del nord (19:28).

Come abbiamo già visto, Gesù si riferisce a quella terra in un versetto che è quasi sempre tradotto in modo sbagliato. Dovrebbe essere "Beati i miti, perché avranno in eredità la terra" (Matteo 5:5, traduzione dell'autore). Sempre più studiosi riconoscono che Gesù in questo caso stia citando il Salmo 37:11 parola per parola. Questo salmo usa la frase "ereditare la terra" per cinque volte, e ogni volta la parola ebraica eretz si riferisce inequivocabilmente alla terra d’Israele, non alla terra in generale.

Gesù potrebbe aver fatto riferimento alla profezia di Isaia secondo cui quando la terra sarà rinnovata "verranno molti popoli e diranno: «Venite, saliamo sul monte del SIGNORE . . . perché ci indichi le sue vie" (Isaia 2:2-3).

Molti contestano che il Vangelo di Giovanni di fatto annulli queste prospettive di un futuro per quella terra perché, in questo Vangelo, Gesù dice che il suo corpo è il nuovo tempio, e il vero culto non sarà più limitato a Gerusalemme, ma si estenderà ovunque ci siano "adoratori in spirito e verità" (Giovanni 2:21; 4:21-24).

Lo studioso del Nuovo Testamento Richard Hays non pensa che Giovanni sia supersessionista circa la promessa di una terra, ma crede che dovremmo pensare ai Vangeli come se parlassero su diversi livelli. Infatti Hays sottolinea che secondo Marco, Gesù dichiara riguardo al tempio: "La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le genti" (Marco 11:17), confermando la visione di Isaia di una Gerusalemme e di un tempio rinnovati escatologicamente. In Matteo, Gesù, con grande sorpresa dei cristiani (che in gran parte non ha mai visto una cosa del genere) afferma che, nei giorni in cui egli era ancora in vita, Dio "abita" ancora nel tempio (23:21). Quindi la complessa immagine neotestamentaria di Gesù sul tempio è che questo sia la casa di Dio e il simbolo del corpo di Cristo in quanto casa di Dio. Per Gesù, quindi, la vera adorazione sarà ovunque vi siano adoratori in spirito e verità e incentrata su Gerusalemme nell'eschaton.

Se Gesù ha fatto chiaro riferimento al futuro della terra d’Israele, lo stesso è avvenuto con Pietro. Nel suo secondo discorso a Gerusalemme, pronunciato dopo la resurrezione di Gesù, Pietro sostiene che deve ancora venire una futura apocatastasi, usando questa parola greca nella Septuaginta per indicare il ritorno degli ebrei in quella terra dai quattro angoli del mondo (Atti 3:21). Così, secondo Pietro, il ritorno dall'esilio in Babilonia non ha compiuto pienamente le profezie del ritorno presenti del Tanakh. E nemmeno la resurrezione di Gesù. C'è ancora un futuro ritorno da compiersi. E sappiamo che questo non avverrà per altri 1800 anni.

Abbiamo già visto dagli Atti che Paolo ha precisato di aver mantenuto la promessa. Ce ne sono ulteriori prove in Romani. Paolo dice i "doni . . . di Dio" sono "irrevocabili" (Romani 11:29). Non c'è dubbio che per Paolo la terra fosse uno di questi doni, poiché negli scritti di eminenti ebrei del primo secolo - Filone, Flavio Giuseppe e il tragediografo giudeo-ellenistico Ezechiele - si evince che la terra era considerata il principale dono di Dio al popolo ebraico.

La chiesa primitiva la vedeva così. Secondo Robert Wilken in The Land Called Holy, i primi cristiani, in base alla promessa fatta dall'angelo a Maria, intesero che al suo bambino sarebbe stato dato "il trono di Davide suo padre" e che "regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe" (Luca 1:32-33) come segno della "restaurazione e instaurazione del regno a Gerusalemme."

Il libro dell'Apocalisse è pieno di riferimenti al futuro della terra d’Israele. I due Testimoni saranno uccisi a Gerusalemme (Apocalisse 11:8); la battaglia di Armageddon si svolgerà in una valle nel nord d’Israele (16:16); le porte della Nuova Gerusalemme (che, chiaramente, non è la Nuova Roma o Nuova Costantinopoli) sono incise con "i nomi delle dodici tribù dei figli d’Israele" (21:12); i 144.000 con i nomi dell'Agnello e del Padre sulla fronte stanno sul monte Sion a Gerusalemme (14:1); Gog e Magog marceranno sulla "superficie della terra" d’Israele e circonderanno i santi e "l'amata città" di Gerusalemme prima di essere consumati dal fuoco proveniente dal cielo (20:9). La terra rinnovata avrà al suo centro Gerusalemme (11:2; 21:10).

Per l'autore di Apocalisse, quindi, la terra d’Israele era santa non solo perché Israele e Gesù vi dimoravano, ma anche perché sarebbe stata la scena di eventi futuri cruciali nella storia della redenzione.

In sintesi, c'è abbondanza di prove nei Vangeli, negli Atti, nelle Epistole e nell’Apocalisse riguardo (1) alla promessa di una terra, (2) alla santità di Gerusalemme e (3) al significato teologico della terra d’Israele nel futuro e nell'eschaton.

Perché la promessa della terra è importante

È importante? Sì, per tre motivi.

Innanzitutto, se la promessa si è completamente realizzata con la venuta di Gesù, allora Dio non è affidabile, perché aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza che la terra sarebbe stata loro per sempre (Genesi 17:8).

In secondo luogo, se la promessa è stata infranta, allora sarebbe infranta anche la promessa di Dio di rinnovare e restaurare i cieli e la terra. L'adempimento parziale di quella promessa - riconducendo in questa terra gli ebrei dai quattro angoli del mondo a partire dal XVIII secolo - è solo un anticipo per la promessa di un nuovo cielo e di una nuova terra.

Infine, è per una profonda ragione teologica che dovremmo sostenere Israele in questa nuova guerra contro il nuovo nazismo. Gli ebrei hanno più diritto a questa terra di qualsiasi altro popolo. Dio li ha chiamati a condividere la terra nella giustizia, ed essi hanno dimostrato più e più volte di essere disposti a farlo. Oggi 2 milioni di arabi sono cittadini a pieno titolo in Israele e godono di libertà politiche e istruzione e assistenza sanitaria ai più alti livelli nel mondo - molto più di quanto non godano in qualsiasi altra parte del mondo arabo. Come i nazisti di Hitler, Hamas sta commettendo un genocidio, tentando di eliminare un intero popolo, gli ebrei. Se noi cristiani pensavamo che fosse giusto eliminare il nazismo durante la seconda guerra mondiale, allora dovremmo sostenere gli sforzi di Israele per distruggere Hamas, un nuovo nazismo.

Gerald R. McDermott è un teologo anglicano che insegna al Reformed Episcopal Seminary e al Jerusalem Seminary. È editore de Il nuovo sionismo cristiano: Nuove prospettive su Israele e la terra (IVP Academic), e autore di Israel Matters: Why Christians Must Think Different About the People and the Land (Brazos Press).

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