« Mi ha rivestito di un abito di salvezza »
(Is 61,7)
Mi chiamo Miryam Leah. Sono nata nel 1973, ebrea, italiana, provengo da una famiglia hassid ultra-ortodossa (loubavich, mio padre è il shaliah – inviato – del Rebbe) e ora, dopo quasi 9 anni, cattolica e suora domenicana.
La mia conversione, è prima di tutto una ferita, e dopo, ma solo dopo, un incontro. E' una morte seguita dalla Luce. Una morte al mio modo di pensare, di agire, una morte a cio’ che avevo e a cio’ che ero. Ma, soprattutto, una morte al mio popolo, che non mi riconosce più, alla mia famiglia, che ha tagliato ogni comunicazione con me accusandomi di idolatria, di tradimento, di antisemitismo, di aver ucciso un'altra volta i miei nonni (tutti morti a Auschwitz; solo la mia nonna è ritornata, ma si è suicidata). Tutti imiei conoscenti, praticanti e non, uno dopo l'altro ecco che defilano, mi assalgono, di dicono che non faccio più parte di loro, che sono passata dalla parte dei nemici, nel campo di quelli che, da sempre, hanno fatto soffrire il popolo ebreo, che ho perduto la mia anima, che non ho più diritto al mondo futuro.
Pensano ad una folla. Una follia pura.
Ho sentito dire che una conversione non ti capita così, a caso. Essa è come il percorso di una matita che tieni in mano, un poco alla cieca perchè sei troppo attaccato al foglio di carta per vedere che cosa stai disegnando. Così, se rileggo il mio passato, mi accorgo che la mia conversione la disegnavo dall'infanzia, dalla donna che ero, che sono. Essa mi attendeva. .
Sempre irrequieta, sempre alla ricerca di qualche cosa che sembrava mancarmi, non volevo credere che la relazione con Hashem potesse passare solo attraverso la Legge, se si potesse essere un grande lamdam - studioso - e non aver mai tuttavia incontrato Hashem. Dalla nascita avevo imparato dai rabbini che amare è osservare la Legge ma io, invece, vedevo l'amore come una relazione personale, una chiamata unica. Mi sembrava che noi, ebrei, sì, noi ossreviamo scrupolosamente la Legge, ma è come come se mancassimo sempre il rapporto faccia a faccia con Hashem. Così, nelle mie preghiere, chiedevo all'Altissimo di farmi sperimentare una relazione come quella dei nostri Padri, di permettermi di parlargli « come un amico parla ad un amico ». Era questo che volevo. Un giorno di settembre, 13 anni fa, avevo appena finito il mio servizio militare in Israele ed ecco che sul bordo del Mare di Galilea ho trovato per caso un piccolo Vangelo tascabile, in inglese.
Ho cominciato a sfogliarlo, per pura curiosità, e mi ricordo ancora l'impressione che ebbi : era un velo che si squarciava, una vita addromentata che si risvegliava, una scossa…
E' difficile spiegare come si arriva ad una certezza interiore perché una simile certezza è una grazia, e la grazia non ha spiegazione. Ho letto il Vangelo tutto in una volta, e ho SAPUTO, al fondo di me stessa, che Colui di cui leggevo era il Messia. Egli era là, vivente, Egli mi chiamava per nome, Egli mi avvolgeva di un amore infinito. Era come se avessi scoperto una porta interiore, come se avessi girato la maniglia e un fiotto di luce, calda e luminosa, mi aveva avvolto. Era una domenica. Durante tutto il resto della settimana non potevo pensare ad altro che a Lui, suprema follia dell'Amore che si dona agli uomini, a Lui che mi aveva parlato, a me, come se fossi l'unica, la sola, nell'intero universo. Ero come ubriaca.
Ovviamente, non conoscevo nessun cristiano ma solo ebrei come me, dei loubavitch, e quindi non feci seguire nessun eco alla mia esperienza. in ogni caso, ero troppo sconvolta, e, credo, il tempo non era ancora maturo. Quindi, la domenica successiva, sono ritornata in Italia.
Là, ho ricominciato la mia vita abituale con le sue rigide pratiche religiose, i suoi numerosi comandamenti che coprivano tutte le dimensioni della mia esistenza. L'esperienza sul bordo del mare, in me, rimaneva come un sassolino che ti ritrovi nelle scarpe mentre cammini: Cerchi bene di toglierlo, ma ecco che rimane sempre là, fastidiosissimo… una volta circondata dalla mia gente, respingevo ogni ricordo di « quell'uomo » (non potevo neppure arrivare a pronunciare il suo Nome, tanta era la paura di dire qualcosa di blasfemo) con decisione. Preferivo non risvegliare quelle impressioni, ma ciò che mi infastidiva di più era il fatto non poter evitare di pensare a Lui e soprattutto al fatto che la sua Presenza, nonostante tutti i miei sforzi, mi donava una pace indicibile. Essa mi conduceva verso orizzonti inimmaginabili e meravigliosi di libertà, di amore, una slancio verso il futuro. Una nuova apertura.
Durante questo periodo, tutte le volte che ritornavo in Israele e che mi capitava di vedere qualcosa che avesse a che fare con i cristiani, ecco che sentivo nel profondo di me una forza, una potenza fresca che mi lanciava al di là di me stessa, del mio piccolo mondo così stretto, che mi faceva vedere tutto con occhi diversi. Tutto ciò mi affascinava ma ne avevo paura. Allora, per calmare il mio senso di colpa, mi gettavo nel fare, in un'osservanza minuziosa della Legge, non mi concedevo nessun riposo, nessuna mollezza, nessuna debolezza. Ma più mi impegnavo in questo percorso di combattente, più mi sembrava che mi mancasse l'essenziale e di morire lentamente, soffocata. Al di là di tutto questo, c'era anche la lotta contro il pregiudizio e il disprezzo che noi, gli ebrei, spesso abbiamo verso tutto ciò che non ci appartiene e verso i cristiani in particolare : per noi, occorre ammetterlo, il mondo è spesso diviso in ‘da noi’ e ‘da altri’, ci sono gli ebrei (i giusti) e i goyim (idolatri).
tuttavia, nonostante tutto, lo Spirito lavorava. incessantemente. .
Infine, dopo quasi due anni di conflitto interiore, un evento, piuttosto banale in realtà, mi ha finalmente messo in marcia : alla fine di uno shabbat trascorso con i miei cugini e un giovane hassid, loro amico, mia madre mi dice, prima di andare a dormire « Sai, Miryam, quel giovane uomo, noi conosciamo i suoi genitori, li abbiamo incontrati ». Io rimango silenziosa, aspettando il resto. « E' gente per bene, molto religiosa, e in più lui è Cohen. Ci ha parlato, e tuo padre mi ha detto di dirti che lui sarebbe pronto a darvi la sua benedizione ». Sono rimasta come paralizzata. Senza neppure rendermi conto ho pensato « Gesù ! » nominandolo esplicitamente dentro di me per la prima volta, « come posso vivere la mia vita senza di Te ? Come vivere lontano da Te ? ».
Da qual momento in poi, non lo so come, mi sentivo presa dal desiderio di conoscere Gesù, volevo sapere tutto di Lui. Si trattava ormai di una questione di vita o di morte. I miei genitori non ne sapevano ancora nulla. Anzittutto mi sono messa a leggere tutto ciò che riguardava gli ebrei convertiti. Come avevano fatto per passare dal giudaismo al cattolicesimo ? Leggendo, mi rendevo conto che essi però non potevano rispondere alle mie domande dal momento che non avevano mai praticato, erano quasi tutti atei, o avevano ricevuto un'educazione cristiana. Compresi allora che, su questo sentiero impervio, ero un pioniere. Se volevo arrivare (dove? Non lo sapevo neppure io, era come se fossi « portata »), dovevo, da sola, aprire la strada. Se volevo immettermi in questa continuità che ogni cristiano rivendica e che ogni ebreo nega, dovevo tutto ripercorrere dal principio, ritornare indietro di duemila anni, in Israele, al tempo di Cristo, l’Uomo-D.io. Un legame, lo sapevo bene, era certamente esistito, perché la storia di Cristo, è una storia ebrea e che ci sono stati ebrei studiosi come ebrei ignoranti che, a rischio della loro vita, hanno testimoniato la sua identité di Messia, quello atteso. Un poco alla volta ho cominciato a entrare nella vita di Gesù, nelle sue parole, nelle sue parole, nella sua mentalità. Mi sono tuffata nei Vangeli, facevo ricerche su internet, studiavo il Nuovo Testamento e lo paragonavo con l'Antico, leggevo tutti i tipi di libri che trovavo su Gesù, sulla storia della Chiesa primitiva. Gradualmente, malgrado la totale mancanza di sistematicità, cominciavo a scoprire un nuovo mondo nuovo, fascinante e sorprendente che mi era fino a qual momento assolutamente sconosciuto.
Sì, veramente Gesù era il Messia. Veramente ci aveva dato una Torah nuova, un mondo di pace che si trova dentro di se stessi e non all'esterno (questa ci sarà anche, ma solo alla Sua seconda). Veramente Egli era il Figlio dell'Elohim di Avraham, di Itshaq e di Yaacov. Tutto era stato così chiaramente annunciato dai profeti ! Egli é il Messia e ci ha regalato una nuova Torah, come i nostri Maestri ci insegnano, in continuità con quella che abbiamo ma che allo stesso tempo ci supera tutti.
Deliravo di gioia.
I miei genitori pensavano che mi fossi innamorata del giovane Cohen.
Sapevo che Gesù mi domandava qualcosa ma non avevo ancora il coraggio di ascoltarlo, di lasciare il trampolino e gettarmi verso di Lui: Cercavo e ricercavo ma non arrivavo a nessun risultato. Ero arrivata al capolinea. Si dice che il tragitto che va dalla testa al cuore sia il più lungo. E' vero. Infine, un giorno, stanca e provata, mi sono arresa e sono entrata in una chiesa. Era l'ora della Messa. Mi sono seduta al fondo, ho chiuso gli occhi e ho detto : « Gesù. Io, con tutte le mie ricerche, non ci capisco più nulla. Allora devi parlarmi tu. cosa vuoi che io faccia ? ».
E' stato a qual punto che ho conosciuto padre Michele.
Usciva dalla sacrestia, già pronto per celebrare la Messa. Si è avvicinato a me e mi ha chiesto di andare a leggere la lettura. Spaventatissima, gli ho risposto che non, non potevo assolutamente, ero ebrea, ortodossa per giunta, non ero battezzata, e era la prima volta che mi trovavo in una chiesa; cercavo ma non trovavo, volevo conoscere Gesù, vivere come Lui, bagnarmi nel suo amore per il resto della mia vita, ma non sapevo come fare. Egli mi ha guardato e mi ha sorriso, poi mi ha chiesto di aspettare fino alla fine della Messa. Gli ho risposto semplicemente : « sì ». E in quell'istante stesso, mi sono sentita completamente avvolta dall'amore di Gesù e là ho preso la decisione di essere una vera ebrea, ovvero di diventare cristiana, di riconoscere Gesù come Messia d'Israele, annunciato dai profeti, promesso dall'Eterno, benedetto sia il Suo nome, da sempre.
Ho cominciato ad andare da lui regolarmente all'uscita dall'ufficio (lavoravo come ingeniere informatico). Con molta pazienza, gentilezza, e delicatezza, mi ha aiutata a penetrare sempre più profondamente nello spirito della fede cristiana, nella sua sorgente di cita, nei suoi doni. un anno dopo è morto, ma io ero già più o meno integrata nella comunità domenicana locale.
Tuttavia, mi ci sono voluti altri tre anni prima di ricevere il battesimo, e decidere di lasciare tutto per seguire il Messia. d'Israele come suora domenicana. Anni di vita nuova, di orizzonti straordinari e di « shalom », ma anche anni di deserto, di silenzio, di freddo, di domande senza risposta : perché io, perché non qualcuno di più istruito, di più capace, di più intelligente, di più, di più, di più ? Sì, perché convertirsi non significa progredire ma trasformarsi. Si tratta di passare per una serie di morti successive e arrivare in cima. La nostra vita è fatta di decisioni pasquali che ci fanno uscire dalle nostre schiavitù. Vedevo in questo un parallelismo con l'insegnamento hassid : questa esistenza fatta per preparare lo shabbat eterno dove non si vivrà se non di ciò che abbiamo preparato quaggiù, proprio come non si mangia, il giorno di shabbat, se non ciò che è stato preparato alla veglia.
E, in effetti, sul mio cammino di conversione, esitavo molto : la paura di seguire degli dei stranieri era sempre presente, le migliaia di cose che non capisco, lo Spirito Santo, la Trinità, e tutte quelle pratiche che mi sembrano quasi blasfeme, come la processione con le statue...e poi la costante ricerca, in tutto, dei riferimenti alla mia tradizione ebraica : confrontavo tutto, e se non trovavo dei legami, dubitavo. Oltre a tutto questo, la paura di essere rifiutata dal mio popolo, di perdere la mia identità, di non essere accettata dai cattolici, di essere considerata come "diversa".
E su tutto questo, come un incudine, il terrore di ferire quelli che amavo, la mia famiglia.
E ad ogni arresto sul mio cammino, in ogni dubbio, fatica, mi dicevo - e mi dico : Accolgo e accetto. Accetto e accolgo questo stop, questo dubbio, queste lacrime...accetto e accolgo perché occorre arrivare fino in fondo, bere fino all'ultima goccia, scalare tutta la montagna, fino alla fine.
Alla fine, lo sapevo - lo so - c'è sicuramente la Luce, la Vita.
« Perché io », era - e resta ancora - incomprensibile, ma se rileggo il mio passato, quei giorni in particolare, so che non è stata la mia forza a farmi fare quel passo, ma sono stata sostenuta dalla Sua mano, dal Suo amore infinito. Egli ha combattuto al mio posto. Nel momento in cui mi ha chiesto di scegliere, di uscire allo scoperto, di guadare il mio Yabbok (Gen 32, 22), di affrontare la mia famiglia e il mio popolo, la sua chiamata era così forte, così irresistibile, che non potevo che rispondergli sì, hinneni (me voici!). Egli mi ha parlato dritto al cuore, diceva che era a me che pensava quando era sospeso sulla croce per non impazzire dal dolore. Egli mi ha donato la Sua stessa forza. Con pazienza mi ha insegnato ad aprire il mio cuore agli altri, ad accoglierli in me, indistintamente, perché solo là è la vera felicità. E' per vivere la resurrezione già data, qui e ora, attraverso l'obbeddienza di Gesù, che sono diventata cristiana.
Il cammino verso la libertà di Gesù nel Suo Corpo la Chiesa è ancora lungo, e anche se so di non poter rimanere attaccata al mio passato, continuo a essere parte della cultura ebraica. Sono nata e cresciuta in essa, e non è sempre evidente trovare la chiave dell'integrazione. Alle volte ho ancora difficoltà a vivere alcuni Sacramenti della Chiesa, con il cibo, con i lavori e con gli spostamenti lo shabbat, a pronunciare il Nome - benedetto sua Egli - come lo fanno i cristiani. Le immagini ancora mi disturbano (è solo da pochi mesi che ho accettato di conservare una piccola immagine della Trinità), durante la celebrazione della Passione non sono ancora riuscita a inginocchiarmi davanti alla croce e sento ancora questo gesto come idolatria. Mi vesto ancora cominciando dalla destra, non mangio e non bevo mai senza dire le benedizioni rituali, senza avermi lavato ritualmente le mani. Alle volte, senza il riferimento della Legge, mi sento come disorientata, ho ancora paura di sbagliare. Ancora non mi sento a mio agio se non osservo il digiuno in certe feste ebraiche (Yom Kippour, Esther...). Ancora mi sento fremere quando vedo la Torah maneggiata come se fosse un libro qualunque, ancora mi sento punta sul vivo quando sento dire cose negative contro gli ebrei...e potrei continuare.
Da quando sono arrivata in Francia, da quattro mesi, l’Eterno - benedetto sia il Suo Nome - nella sua grande tenerezza, ha messo sulla mia strada una persona che mi aiuta, anche lui con pazienza, sensibilità, comprensione e umorismo, senza farmi pressione ma invitandomi sempre in avanti, a integrare il mio essere ebrea con la fede cristiana, la bellezza e la ricchezza della mia identità e allo stesso tempo sperimento l'abbondanza di gioia e la profondità che viene dalla fede cristiana. Egli cammina con me e insieme cerchiamo come posso essere cristiana senza negare o abbandonare la mia identità ebraica, anzi, portandola fino alla sua pienezza. Su una piccolissima scala, mi piace alle volte pensare che riflettiamo la Chiesa primitiva, ebrei cattolici e gentili, tutti in cammino per diventare « compiuti » in Gesù.
Sono convinta che Gesù, tramite la fede cristiana, mi chiede di fare un cammino di responsabilità e di libertà personale che è assolutamente più dinamico e vero che quello dell'obbedienza scrupolosa alle mitzvot e al Rebbe, ma anche molto più esigente. E preferisco così, di gran lunga, perché questa è la via dell'amore, e l'amore ti conduce direttamente verso la profondità di te stesso, là dove si trova la verità in Lui, là dove tu puoi guardare te stesso e il mondo con i Suoi stesi occhi, là dove è il Luogo, il maqqom, là dove ci si può unire alla Shekhina, faccia a faccia. La Legge è un poco come una maestra, ti può condurre solo fino alla soglia del Regno, ma a partire da qual punto in poi,, tu potrai entrare nel Palazzo solo attraverso Gesù il Messia. La decisione di abbandonarti a Lui, di giocare la nostra vita su di Lui e di lasciarci condurre appartiene solo a noi. Egli ci invita, la ci lascia liberi.
Egli ci ricolma del Suo amore e ci chiede di fare come Lui. Il Suo amore, significa anche scegliere di essere aperti, di lasciarsi ferire : per me, significa anzitutto la sofferenza della rottura con la mia famiglia, la nostalgia del mio popolo, il dolore di vederli ancora al di fuori della Vera Luce, della Terra Promessa, tutti chiusi nella Legge. Tuttavia, la scelta dell'Eterno - benedetto sia il il Suo Nome, è irrevocabile. Nella Sua misericordia Egli ha scelto Israele e la sua scelta è un atto creatore d'amore in vista dell'amore, e quindi sono sicura che sarà Gesù il Messia che popolo ebraico riconoscerà, un giorno, perché l'Amore è Lui. Io lo so, ne faccio l'esperienza ogni giorno.
E ora… perché sono « Cattolici per Israele »? perché una Cattolica per Israele inviti i figli di Israele a venire ai piedi della Croce, e i cristiani a venire loro incontro, come il Padre verso il Figlio Prodigo. Ripenso a quell'invito nel Devarim (il Deuteronomio): scegli la vita! I rabbini ci spiegano : scegliere la vita significa scegliere di osservare la Legge. Io, in Gesù e nel Suo Corpo, la Chiesa Cattolica, ho scoperto che scegliere la vita è scegliere di essere aperti, di lasciarsi ferire, penetrare da un altro, diverso la noi, di amare come l'Elohim d’Israele ha amato il suo popolo donandoci il Suo unico Figlio Gesù.