Islam e cristianesimo: Dove il dialogo inciampa
Fonte: chiesa.espressonline.it
ROMA, 30 dicembre 2013 – Nel messaggio "urbi et orbi" di Natale papa Francesco ha elevato questa preghiera: "Tu, Signore della vita, proteggi quanti sono perseguitati a causa del tuo nome".
E all'Angelus della festa di santo Stefano, il primo dei martiri, ha di nuovo pregato "per i cristiani che subiscono discriminazioni a causa della testimonianza resa a Cristo e al Vangelo".
Più volte papa Jorge Mario Bergoglio ha manifestato il suo dolore per la sorte dei cristiani in Siria, nel Medio Oriente, in Africa e in altri luoghi del mondo, ovunque sono perseguitati e uccisi, spesso "in odio alla fede" e ad opera di musulmani.
A tutto questo il papa risponde invocando incessantemente "il dialogo come contributo per la pace".
Nella esortazione apostolica "Evangelii gaudium" del 24 novembre, il più importante dei documenti finora da lui pubblicati, Francesco ha dedicato al dialogo con i musulmani i seguenti due paragrafi:
252. In quest’epoca acquista una notevole importanza la relazione con i credenti dell’Islam, oggi particolarmente presenti in molti Paesi di tradizione cristiana dove essi possono celebrare liberamente il loro culto e vivere integrati nella società. Non bisogna mai dimenticare che essi, "professando di avere la fede di Abramo, adorano con noi un Dio unico, misericordioso, che giudicherà gli uomini nel giorno finale". Gli scritti sacri dell’Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani; Gesù Cristo e Maria sono oggetto di profonda venerazione ed è ammirevole vedere come giovani e anziani, donne e uomini dell’Islam sono capaci di dedicare quotidianamente tempo alla preghiera e di partecipare fedelmente ai loro riti religiosi. Al tempo stesso, molti di loro sono profondamente convinti che la loro vita, nella sua totalità, è di Dio e per Lui. Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri.
253. Per sostenere il dialogo con l’Islam è indispensabile la formazione adeguata degli interlocutori, non solo perché siano solidamente e gioiosamente radicati nella loro identità, ma perché siano capaci di riconoscere i valori degli altri, di comprendere le preoccupazioni soggiacenti alle loro richieste e di fare emergere le convinzioni comuni. Noi cristiani dovremmo accogliere con affetto e rispetto gli immigrati dell’Islam che arrivano nei nostri Paesi, così come speriamo e preghiamo di essere accolti e rispettati nei Paesi di tradizione islamica. Prego, imploro umilmente tali Paesi affinché assicurino libertà ai cristiani affinché possano celebrare il loro culto e vivere la loro fede, tenendo conto della libertà che i credenti dell’Islam godono nei paesi occidentali! Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l’affetto verso gli autentici credenti dell’Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un’adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza.
I commenti alla "Evangelii gaudium" hanno prestato scarsa attenzione a questi due paragrafi.
Pochi, ad esempio, hanno notato l'insolito vigore con cui papa Francesco reclama anche nei paesi musulmani quella libertà di culto che i credenti dell'Islam godono nei paesi occidentali.
Chi ha dato evidenza a questo "coraggio" del papa – come il gesuita e islamologo egiziano Samir Khalil Samir – ha però anche rilevato che egli si è limitato a chiedere la sola libertà di culto, tacendo su quella privazione della libertà di convertirsi da una religione all'altra che è il vero punto dolente del mondo musulmano.
Padre Samir insegna a Beirut, Roma e Parigi. È autore di libri e di saggi sull'Islam e sul suo rapporto col cristianesimo e con l'Occidente, l'ultimo pubblicato quest'anno dall'EMI con il titolo: "Quelle tenaci primavere arabe". Durante il pontificato di Benedetto XVI è stato uno degli esperti più ascoltati dalle autorità vaticane e dallo stesso papa.
Lo scorso 19 dicembre ha pubblicato sull'importante agenzia "Asia News" del Pontificio Istituto Missioni Estere un'ampia nota di commento ai passaggi della "Evangelii gaudium" dedicati all'Islam.
Un commento a due facce. Nella prima parte della nota padre Samir mette in luce "le tante cose positive" dette da papa Francesco sul tema.
Ma nella seconda parte ne passa in rassegna i limiti. Con rara franchezza.
Ecco qui di seguito questa seconda parte del suo commento.
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PUNTI DELLA "EVANGELII GAUDIUM" CHE RICHIEDONO CHIARIMENTO
di Samir Khalil Samir
1. I musulmani "adorano con noi un Dio unico, misericordioso" (n. 252)
Io prenderei con cautela questa frase. È vero che i musulmani adorano un Dio unico e misericordioso. Ma questa frase suggerisce che le due concezioni di Dio sono uguali. Invece nel cristianesimo Dio è Trinità nella sua essenza, pluralità unita dall'amore. È un po' più che sola clemenza e misericordia. Abbiamo due concezioni abbastanza diverse dell'unicità divina. Quella musulmana caratterizza Dio come inaccessibile. La visione cristiana dell'unicità trinitaria sottolinea che Dio è Amore che si comunica: Padre-Figlio-Spirito, oppure Amante-Amato-Amore, come suggeriva Sant'Agostino.
Poi, anche la misericordia del Dio islamico cosa significa? Che Lui fa misericordia a chi vuole e non la fa a coloro a cui non vuole. "Dio fa entrare nella Sua misericordia chi Egli vuole" (Corano 48:25). Queste espressioni si trovano in modo quasi letterale nell'Antico Testamento (Esodo 33:19). Ma non si arriva mai a dire che "Dio è Amore" (1 Giovanni 4:16), come si esprime san Giovanni.
La misericordia nel caso dell'islam è quella del ricco che si china sul povero e gli concede qualcosa. Ma il Dio cristiano è Colui che scende verso il povero per innalzarlo al suo livello; non mostra la sua ricchezza per essere rispettato (o temuto) dal povero: dona se stesso per far vivere il povero.
2. "Gli scritti sacri islamici conservano parte degli insegnamenti cristiani" (n. 252)
È vero in un certo senso, ma può essere anche ambiguo. È vero che i musulmani riprendono parole o fatti dei vangeli canonici, ad esempio il racconto del l'Annunciazione si ritrova quasi letteralmente nei capitoli 3 (la famiglia di 'Imr?n) e 19 (Mariam).
Ma più frequentemente il Corano s'ispira ai pii racconti dei Vangeli apocrifi, e non ne tirano il senso teologico che ci si trova, e non danno a questi fatti o parole il senso che hanno in realtà, non per cattiveria, ma perché non hanno la visione globale del messaggio cristiano.
3. La figura di Cristo nel Corano e nel Vangelo (n. 252)
Il Corano si riferisce a "Gesù e Maria [che] sono oggetto di profonda venerazione". A dir il vero, Gesù non è oggetto di venerazione nella tradizione musulmana. Invece, per Maria, si può parlare di una venerazione, in particolare da parte delle donne musulmane, che volentieri vanno ai luoghi di pellegrinaggio mariano.
L'assenza di venerazione per Gesù Cristo si spiega probabilmente per il fatto che, nel Corano, Gesù è un grande profeta, famoso per i suoi miracoli a favore dell'umanità povera e malata, ma non è uguale a Maometto. Solo da parte dei mistici, si può notare una certa devozione, essi lo chiamano anche "Spirito di Dio".
In realtà, tutto ciò che si dice di Gesù nel Corano è l'opposto degli insegnamenti cristiani. Egli non è Figlio di Dio: è un profeta e basta. Non è nemmeno l'ultimo dei profeti perché invece il "sigillo dei profeti" è Maometto (Corano 33:40). La rivelazione cristiana è vista solo come una tappa verso la rivelazione ultima, portata da Maometto, cioè l'Islam.
4. Il Corano si oppone a tutti i dogmi cristiani fondamentali
La figura di Cristo come seconda persona della Trinità è condannata. Nel Corano si dice in modo esplicito ai cristiani: "O Gente della Scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Dio altro che la verità. Il Messia Gesù, figlio di Maria, non è altro che un messaggero di Dio, una Sua parola che Egli pose in Maria, uno Spirito da Lui [proveniente]. Credete dunque in Dio e nei Suoi messaggeri. Non dite 'Tre', smettete! Sarà meglio per voi. Invero Dio è un dio unico. Avrebbe un figlio? Gloria a Lui" (Corano 4:171). I versetti contro la Trinità sono molto chiari e non hanno bisogno di tante interpretazioni.
Il Corano nega la divinità di Cristo: "O Gesù, figlio di Maria, sei tu che hai detto alla gente: 'Prendete me e mia madre come due divinità all'infuori di Dio'?" (Corano 5:116). E Gesù lo nega!
Infine, nel Corano è negata la redenzione. Addirittura si afferma che Gesù Cristo non è morto in croce, ma è stato crocifisso un suo sosia: "Non l'hanno ucciso, non l'hanno crocifisso, ma è sembrato loro" (Corano 4:157). In tal modo Dio ha salvato Gesù dalla cattiveria dei giudei. Ma così Cristo non ha salvato il mondo!
Insomma, il Corano e i musulmani negano i dogmi essenziali del cristianesimo: Trinità, Incarnazione e Redenzione. Si deve aggiungere che questo è il loro diritto più assoluto! Ma non si può allora dire che "Gli scritti sacri dell'Islam conservano parte degli insegnamenti cristiani". Si deve semplicemente parlare del "Gesù coranico" che non ha niente a che vedere con il Gesù dei Vangeli.
Il Corano cita Gesù perché pretende di completare la rivelazione di Cristo per esaltare Maometto. Del resto, vedendo quanto Gesù e Maria fanno nel Corano, ci si accorge che essi non fanno altro che applicare le preghiere e il digiuno secondo il Corano. Maria è certamente la figura più bella tra tutte quelle presentate nel Corano: è la Madre Vergine, che nessun uomo ha mai toccato. Ma non può essere la Theotokos; anzi, è una buona musulmana.
I PUNTI PIÙ DELICATI
1. Etica nell'Islam e nel cristianesimo (252)
L'ultima frase di questo paragrafo della "Evangelii gaudium" dice, parlando dei musulmani: "Riconoscono anche la necessità di rispondere a Dio con un impegno etico e con la misericordia verso i più poveri". Questo è vero e la pietà verso i poveri è un'esigenza dell'Islam.
C'è però una doppia differenza, mi sembra, tra l'etica cristiana e quella musulmana.
La prima è che l'etica musulmana non è sempre universale. Si tratta spesso di aiuto dentro la comunità islamica, mentre l'obbligo di aiuto, nella tradizione cristiana, è di per sé universale. Si nota per esempio, quando c'è una catastrofe naturale in qualche regione del mondo, che i Paesi di tradizione cristiana aiutano senza considerare la religione di chi è aiutato, mentre Paesi musulmani ricchissimi (quelli del Penisola Arabica per esempio) non lo fanno in questo caso.
La seconda è che l'Islam lega etica e legalità. Chi non digiuna durante il mese di Ramadan commette un delitto e va in prigione (in molti Paesi). Se osserva il digiuno previsto, dall'alba al tramonto, è perfetto, anche se dopo il tramonto mangia fino all'alba del giorno seguente, più e meglio del solito: "si mangiano le cose migliori e in abbondanza", come mi dicevano alcuni amici egiziani musulmani. Sembra non esserci altro significato nel digiuno se non ubbidire alla legge stessa del digiuno. Il Ramadan diventa il periodo in cui i musulmani mangiano di più, e mangiano le cose più prelibate. L'indomani, dato che per mangiare nessuno ha dormito, nessuno lavora. Però, dal punto di vista formale, tutti hanno digiunato per alcune ore. È un'etica legalista: se fai questo, sei nel giusto. Un'etica esteriore.
Il digiuno cristiano è invece qualcosa che ha come scopo l'avvicinarsi al sacrificio di Gesù, alla solidarietà con i poveri e non c'è il momento in cui si recupera quanto uno non ha mangiato.
Se qualcuno applica la legge islamica, tutto è in ordine. Il fedele non cerca di andare oltre la legge. La giustizia è richiesta per legge, ma non è superata. Per questo, non c'è nel Corano l'obbligo del perdono; invece, Gesù nel Vangelo chiede di perdonare in modo infinito (settanta volte sette: cfr. Matteo 18, 21-22). Nel Corano la misericordia non arriva mai all'amore.
Lo stesso vale per la poligamia: si può avere fino a quattro mogli. Se voglio averne una quinta, basta ripudiare una di quelle che ho già, magari la più vecchia, e prendermi una sposa più giovane. E avendo sempre e solo quattro mogli sono nella perfetta legalità.
C'è anche l'effetto contrario, per esempio per l'omosessualità. In tutte le religioni, è un peccato. Ma per i musulmani, è anche un delitto che dovrebbe essere punito con la morte. Nel cristianesimo è un peccato, ma non un crimine. Il motivo è ovvio: l'Islam è religione, cultura, sistema sociale e politico; è una realtà integrale. Ed è chiaramente così nel Corano. Il Vangelo invece distingue chiaramente la dimensione spirituale ed etica dalla dimensione socio-culturale e politica.
Lo stesso vale per la purezza, come lo spiega in modo chiaro Cristo ai Farisei: "Non ciò che entra nella bocca contamina l'uomo, ma è quel che esce dalla bocca che contamina l'uomo" (Mt 15, 11).
2. "I fondamentalismi da entrambe le parti" (n. 250 e 253)
Ci sono infine due aspetti che vorrei criticare. Il primo è quello in cui il papa mette insieme tutti i fondamentalismi. Al n. 250 si dice: "Un atteggiamento di apertura nella verità e nell'amore deve caratterizzare io dialogo con i seguaci delle religioni non cristiane, nonostante i vari ostacoli e difficoltà, particolarmente i fondamentalismi da entrambe le parti".
L'altro è la conclusione della sezione sul rapporto all'Islam che termina con questa frase: "Di fronte ad episodi di fondamentalismo violento che ci preoccupano, l'affetto verso gli autentici credenti dell'Islam deve portarci ad evitare odiose generalizzazioni, perché il vero Islam e un'adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza" (n. 253).
Personalmente, non metterei i due fondamentalismi sullo stesso piano: i fondamentalisti cristiani non portano le armi; il fondamentalismo islamico è criticato, anzitutto proprio dai musulmani, perché questo fondamentalismo armato cerca di riprodurre il modello maomettano. Nella sua vita, Maometto ha fatto più di 60 guerre; ora se Maometto è il modello eccellente (come dice il Corano 33:21), non sorprende che certi musulmani usano anche loro la violenza ad imitazione del Fondatore dell'Islam.
3. La violenza nel Corano e nella vita di Maometto (n. 253)
Infine, il papa accenna alla violenza nell'islam. Nel paragrafo 253 si legge: "Il vero Islam e un'adeguata interpretazione del Corano si oppongono ad ogni violenza".
Questa frase è bellissima, ed esprime un atteggiamento molto benevolo del papa verso l'Islam. Mi sembra però che essa esprima più un desiderio che una realtà. Che la maggioranza dei musulmani possa essere contraria alla violenza, può anche darsi. Ma dire che "il vero islam è contrario ad ogni violenza", non mi sembra vero: la violenza è nel Corano. Dire poi che "un'adeguata interpretazione del Corano si oppone ad ogni violenza" ha bisogno di molte spiegazioni. Basta ricordare i capitoli 2 e 9 del Corano.
È vero comunque quanto il pontefice afferma sul fatto che l'islam ha bisogno di una "adeguata interpretazione". Questa strada è praticata da alcuni studiosi, ma non è abbastanza forte da contrastare quella che va per la maggiore. Questa minoranza di studiosi cerca di reinterpretare i testi coranici che parlano della violenza, mostrando che essi sono legati al contesto dell'Arabia dell'epoca ed erano nel contesto della visione politico-religiosa di Maometto.
Se l'islam vuole rimanere oggi in questa visione legata al tempo di Maometto, allora ci sarà sempre violenza. Ma se l'islam – e vi sono parecchi mistici che l'hanno fatto – vuole ritrovare una spiritualità profonda, allora la violenza non è accettabile.
L'islam si trova davanti a un bivio: o la religione è una strada verso la politica e verso una società politicamente organizzata, oppure la religione è un'ispirazione a vivere con più pienezza e amore.
Chi critica l'islam a proposito della violenza non fa una generalizzazione ingiusta e odiosa: mostra delle questioni presenti, vive e sanguinanti nel mondo musulmano.
In Oriente si comprende molto bene che il terrorismo islamico è motivato religiosamente, con citazioni, preghiere e fatwa da parte di imam che spingono alla violenza. Il fatto è che nell'islam non vi è un'autorità centrale, che corregga le manipolazioni. Ciò fa sì che ogni imam si creda un muftì, un'autorità nazionale, che può emettere giudizi ispirati dal Corano fino a ordinare di uccidere.
CONCLUSIONE: UNA "ADEGUATA INTERPRETAZIONE DEL CORANO"
Per concludere, il punto davvero importante è quello della "adeguata interpretazione". Nel mondo musulmano, il dibattito più forte– che è anche il più proibito – è proprio quello sull'interpretazione del libro sacro. I musulmani credono che il Corano sia sceso su Maometto, completo, in quella forma che conosciamo. Non c'è il concetto d'ispirazione del testo sacro, che lascia spazio a un'interpretazione dell'elemento umano presente nella parola di Dio.
Facciamo un esempio. Ai tempi di Maometto, con tribù che vivevano nel deserto, la pena per un ladro era il taglio della mano. A cosa serviva? Qual era lo scopo di questa pena? Non permettere che il ladro rubasse più. Allora dobbiamo chiederci: come possiamo oggi salvaguardare questo scopo, cioè che il ladro non rubi? Possiamo usare altri metodi al posto del taglio della mano?
Oggi tutte le religioni hanno questo problema: come reinterpretare il testo sacro, che ha un valore eterno, ma che risale a secoli o millenni.
Quando incontro amici musulmani, io metto in luce il fatto che oggigiorno bisogna interrogarsi sullo "scopo" (maqased) che avevano le indicazioni del Corano. I teologi e i giuristi musulmani dicono che si deve ricercare gli "scopi della Legge divina" (maq?sid al-shar?'a). Questa espressione corrisponde a ciò che il Vangelo chiama "lo spirito" del testo, in opposizione alla "lettera". Occorre cercare l'intento del testo sacro dell'islam.
Diversi studiosi musulmani parlano dell'importanza di scoprire "lo scopo" dei testi coranici per adeguare il testo coranico al mondo moderno. E questo, mi sembra, è molto vicino a quanto il Santo Padre intende suggerire parlando di "una adeguata interpretazione del Corano".
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Il testo integrale di padre Samir Khalil Samir, su Asia News del 19 dicembre:
> Papa Francesco e l'invito al dialogo con l'Islam
E l'esortazione apostolica di papa Francesco del 24 novembre: